Sanremo, audiometria in Auto-Tune di una nazione

Se il pianeta del Grande Orecchio, di cui si congettura la dispersa esistenza in qualche voragine vattelapesca della nostra galassia, captasse tutta insieme la nube sonora uscita dallo scatolone pulsante del Teatro Ariston di Sanremo, cosa avrebbe registrato in questo febbraio 2025? Ci azzardiamo a ipotizzare qualcosa come il ristagnare in aria d’un grande balena palla acustica, fatta con pelle di polli d’allevamento, foraggiati ad accordi, melodie e canti umani omogeneizzati, stabilizzati. Basta leggere, uno a uno, i testi di tutte le canzoni in gara: un unico lamentoso strascinarsi di situazioni esistenzial-sentimentali che l’implacabile battito da depressione cantato da Fedez lo hanno trasmesso all’istante, oltre che al Grande, pure ai nostri piccoli padiglioni auricolari all’ascolto. 

E questo vale anche per il modo d’intonare versi e singole parole. E anche di chiudere le canzoni. Quasi una koinè, una lingua  comune mutamente e mutualmente adottata dalla comunità di autori e interpreti e imposta agli uditori. Per ‘lingua’ è qui da intendersi la scansione verticale degli accordi, la linea orizzontale melodica, con pause, punti e legature di valore, quali note tenute e corone per allungamenti a piacimento. L’unico a uscire dal ventre e dalla bocca della balena palla e a salvarsi a me sembra Lucio Corsi con Volevo essere un duro. Testo, arrangiamento ed esecuzione, insieme all’outfit, abbigliamento e trucco, antiretorici, anti declamatori, non centrifugati, omogeneizzati, ma intessuti da grande sapienza musicale e capacità di articolazione poli strumentale.

Non a caso, la terza serata, quella dedicata soltanto alle cover, senza nessuna canzone in gara, è stata la più dinamica, perché si elevano sul palco canzoni di tempi e impronte precedenti non ancora conformate e anche in lingue diverse. 

Il centrifugato stabilizzato all’istituzione Sanremo, invece, è garantito da due piccoli, ma per niente trascurabili fattori umani e tecnici. Il primo è che basta scorrere i nomi degli autori dei testi e delle musiche per accorgersi che sono comuni a molte canzoni, e conseguentemente anche gli arrangiatori. L’altro è l’Auto-Tune. È questo un software che quando la voce passa dal microfono al computer, la converte digitalmente, reindirizzandola in pochi millesimi di secondi alla casse, corretta da ogni errore e difformità di tono e corrispondenza armonica e melodica. L’Auto-Tune, inoltre, permette effetti sonori altrimenti impossibili alla voce naturale: frammentazioni, eco, robotizzazioni, effetti tubo, ecc. Nelle ultime edizioni di Sanremo si è già usato con molta parsimonia, ma quest’anno Carlo Conti lo ha completamento sdoganato, per la gioiosa uniformizzazione di palco e platea. 

Ci sarebbe un altro elemento da porre, almeno ipoteticamente. Così come si corregge la voce, possibile nessuno sia stato tentato di aggiustare le canzoni con l’Intelligenza Artificiale, ossia con ChatGpt, o DeepSeek? Nella prima serata del Festival, un rinomato architetto del suono, Paolo Di Virgilio, ha chiesto proprio a DeepSeek “di scrivere il testo di una canzone con il tema di una coppia in crisi (…) sullo stile Califano”. Ne è uscito un risultato sbalorditivo (verificare). Di Virgilio lo ha postato su Facebook, concludendo: “Tony Effe e tutti gli altri, scanzateve”. O sarebbe da dirla proprio con Il Califfo: Tutto il resto è noia

La lingua italiana, come afferma Leonardo Sciascia, non è solo l’italiano, ma il ragionare, ossia il logos, la logica che c’è dentro anche il poetico. Ma pure la musica è lingua, è logos, tanto più che essa si fonda su veri e propri rapporti matematici e attraverso essi prende corpo e forma. E allora, quando un conformato ammasso logico-linguistico, musicale e vocale, si abbatte – con tutta la potenza social e mass-mediatica dell’industria televisiva e discografica – sulla coscienza individuale e pubblica il Festival non può che mostrarsi come autobiografia e audiometria di una nazione.  Conseguentemente e come ampiamente da molti previsto fin dall’inizio, non possono che vincere, certo al televoto, canzoni come quella di Olly, dedicata a chi si addormenta sul divano con il telecomando in mano.

Riccardo Tavani