Le contadine senza terra dell’India sono sfruttate e invisibili

Occorre dare voce alle donne, quando e dove non ne hanno. Affinché della loro condizione troppo svantaggiata si sappia e si parli.

Dal Libano all’Iraq, dal Messico alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Somalia, dall’India al Perù. Sono troppi i paesi in cui le donne pur lavorando tanto nei campi non vengono “viste”, fantasmi che pur essendo la spina dorsale dell’agricoltura, vengono immancabilmente sfruttate e calpestate.

Donne invisibili e invisibili in quanto donne.

Così nell’India rurale dall’alba al tramonto prestano le proprie braccia alla coltivazione dei campi ma per le autorità e la comunità locale non ci sono, non esistono, perché il “nulla” non si vede.

A loro è infatti negato un diritto fondamentale da cui dipende non solo la propria indipendenza economica ma anche il modo in cui la società le considera: la proprietà della terra che instancabilmente lavorano.

Il buio che avvolge la loro condizione ha origine in un sistema strutturato per privarle della propria autonomia lasciandole vulnerabili allo sfruttamento, al controllo patriarcale e all’abbandono delle istituzioni. Sebbene esistano leggi che ne tutelano i diritti, i pregiudizi culturali, le dinamiche familiari e una diffusa mancanza di consapevolezza delle proprie prerogative le tengono legate a un futuro in cui il duro lavoro non si traduce mai in emancipazione.

In un mondo che continua a sminuire il loro ruolo, la lotta per la proprietà della terra diventa una questione di sopravvivenza, dignità e diritto a un futuro che appartenga loro veramente.

Sono donne che lavorano da anni nei campi per ararli, seminarli e raccogliere i loro frutti, hanno le mani consumate. Eppure quei suoni non sono i loro.

I proventi dei raccolti finiscono nelle mani dei mariti che lasciano alle mogli solo la fatica e la promessa vuota di un futuro migliore.

Loro non hanno mai saputo nulla dei diritti che hanno, nessun funzionario governativo ha mai spiegato che potrebbero rivendicare il possesso della terra che instancabilmente lavorano.

Sono donne sole, senza alcun sostegno e rimangono intrappolate in questo circolo vizioso.

L’agricoltura in India ha sempre fatto affidamento sul lavoro delle donne: la manodopera femminile è impiegata nel 75% delle attività agricole non meccanizzate come la semina, la trebbiatura e la raccolta. Eppure, le braccianti affrontano una marginalizzazione sistemica che ne penalizza l’indipendenza finanziaria e l’equità sociale.

Secondo uno studio della University of Maryland e del National Council of Applied Economic Research solo il 2% della popolazione femminile possiede i terreni agricoli. Il genere crea disparità più accentuate in Stati come Uttar Pradesh e Bihar dove le norme patriarcali e le leggi ereditarie spesso escludono le donne del tutto. In alcune regioni, la proprietà femminile è svantaggiata dalle imposizioni religiose che regolano l’eredità.

Detto questo è ovvio che la lotta per la proprietà della terra per loro non è solo una questione di possesso ma di sopravvivenza, dignità, riconoscimento sociale e autonomia.

Senza il riconoscimento della proprietà che coltivano ogni giorno non possono beneficiare dei programmi di sostegno governativo, come il Kisan Credit Card, e incassare i risarcimenti per le perdite di raccolto, i sussidi agricoli e i servizi di assistenza tecnica.

Anche dal punto di vista emotivo e psicologico, diventa frustrante e doloroso accettare che i profitti di anni di duro lavoro vengano gestiti dagli uomini mentre queste donne invisibili sono solo sfruttate all’inverosimile, oltre ogni soglia di sopportazione. E in alcune aree sono sottoposte oltre che a violenze e minacce di ogni genere, anche alla rimozione dell’utero affinché possano lavorare senza interruzione.

Ma anche se si tratta di realtà così distanti dalla nostra, anche se non se ne parla, anche se molti non sanno, come sempre quel tassello di mondo fa sempre parte del nostro mondo e le istituzioni internazionali dovrebbero fare qualcosa per arginare il problema e per evitare che ci siano ancora paesi in cui i diritti fondamentali degli uomini siano così facili da calpestare, distruggere e annientare.

Stefania Lastoria

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