Le regole della guerra

La guerra in Ucraina, in corso ormai da due anni e mezzo, continua a causare innumerevoli vittime (militari e civili) ed enormi distruzioni, senza che si riesca ancora a intravvedere una prospettiva, non dico di pace, ma almeno di una tregua. È quindi sempre più necessario che si moltiplichino gli sforzi da parte della comunità internazionale per ottenere al più presto un “cessate il fuoco” che possa preludere ad un accordo accettabile e ad una stabilizzazione della situazione in un territorio ai confini dell’Unione europea.

Sulle cause scatenanti di questa terribile guerra le opinioni dei commentatori sono le più disparate. Non voglio qui pronunciarmi in merito: non so quanto abbia influito l’atteggiamento “minaccioso” della NATO ai confini della Russia; quanto il comportamento – spesso biasimevole e poco rispettoso dei diritti – dei governi ucraini verso i separatisti delle province russofone (o meglio russofile); quanto la volontà espansionista del regime di Mosca.

Quasi nessuno, comunque, mette in dubbio che si tratti di una deliberata azione aggressiva da parte della Russia e che l’Ucraina abbia il diritto di difendersi. Quello che invece è fortemente controverso è l’atteggiamento che dovrebbe assumere il cosiddetto “Occidente” (definiamo così per comodità gli Stati Uniti ed i loro alleati), ed in particolare l’Europa, in questo conflitto.

Poiché neanch’io amo le armi, non trovo affatto scandalosa la tesi – sostenuta da molti “pacifisti” – che non si sarebbe dovuto intervenire con l’assistenza militare all’Ucraina. Certo, in questo modo la guerra sarebbe finita in breve tempo con la resa di Kiev e si sarebbero evitate molte morti e distruzioni, mentre Putin avrebbe raggiunto con facilità l’obiettivo di soggiogare il Paese confinante, come era suo chiaro intendimento all’inizio dell’invasione (ma su questo punto, come i fatti hanno dimostrato, aveva commesso un grossolano errore di valutazione). Il risultato – a mio parere sommamente ingiusto – sarebbe stato però il prevalere della volontà del più forte e prepotente in spregio a tutte le convenzioni internazionali, e forse anche l’eventualità di ulteriori aggressioni nei confronti di altri Paesi confinanti, a cominciare dalla Moldavia.

Non intendo, poi, mettere in discussione quanto affermano molte persone, stimabili e degne di fede, cioè che si sarebbe potuto mettere fine a questo sanguinoso conflitto già dopo i primi mesi se alcuni governi occidentali (britannico e americano) non avessero indotto Zelensky a respingere qualsiasi tentativo di negoziato, allo scopo di assestare qualche bastonata all’odiata Russia. Non è possibile sapere quale esito avrebbe avuto un’eventuale trattativa, ma non mi sembra realistico pensare che Putin avrebbe accettato un accordo che non prevedesse, in pratica, la resa dell’Ucraina. Sono anche disposto ad ammettere gli errori (e le colpe) dell’Occidente, incluso quello di spingere, in seguito, il governo di Kiev ad una controffensiva cruenta quanto fallimentare.

Ad ogni modo, l’Occidente, dopo aver constatato che l’Ucraina aveva iniziato a difendersi con accanimento (e anche con efficacia), ha deciso di fornirle assistenza ed armamenti affinché potesse resistere all’esercito invasore, e magari respingerlo. Ma questo è stato fatto con molte esitazioni ed incertezze, sempre in ritardo e in misura parziale, fornendo “con il contagocce” armi non particolarmente efficaci e con raggio d’azione limitato, nel timore che il conflitto potesse trasformarsi in uno scontro diretto tra NATO e Russia.

Siamo così arrivati ad una situazione estremamente critica per l’Ucraina, il cui esercito è fortemente provato e a corto di armamenti e munizioni, mentre l’armata russa, molto più numerosa e meglio equipaggiata, sta esercitando una pressione ormai quasi inarrestabile. Dico “quasi” perché gli avanzamenti sul terreno continuano ad essere di entità piuttosto modesta, anche se le perdite umane e le devastazioni sono ingenti. La Russia può tuttavia fare affidamento sia sul logoramento dell’esercito di Kiev, meno dotato di risorse, sia sull’atteggiamento riluttante di molti governi occidentali, i quali, pur continuando a sostenere l’Ucraina, hanno imposto limitazioni di vario genere nell’uso delle armi fornite, sempre con il meritorio intento di scongiurare il rischio di una catastrofica guerra mondiale. Il governo italiano, in particolare, ne ha vietato l’impiego contro obiettivi in territorio russo, adducendo anche la motivazione che la cosa sarebbe in contrasto (chissà perché) con l’art. 11 della Costituzione.       

Qui, mettendo per un momento da parte qualsiasi giudizio morale o di opportunità politica, vorrei soltanto far notare che nelle guerre – pur sempre deprecabili – esistono regole che non si possono ignorare.

Dato per scontato che una nazione aggredita abbia il pieno diritto di difendersi, è ovvio che la difesa non può consistere unicamente nel mettersi al riparo dalle bombe e nell’intercettare i missili lanciati contro il proprio territorio. La dura legge della guerra consente – anzi, impone – di combattere con tutti i mezzi e le armi disponibili (non ha alcun senso la distinzione tra armi difensive e offensive) contro l’invasore, bersagliando qualsiasi obiettivo si ritenga utile, purché entro i limiti stabiliti dalle convenzioni internazionali, che vietano di usare alcuni tipi di ordigni particolarmente letali o di colpire la popolazione civile.

Si deve poi considerare che in ogni conflitto, in aggiunta alle armi vere e proprie, si usano diversi altri strumenti di efficacia non trascurabile anche dal punto di vista psicologico, quali la propaganda, la disinformazione o l’intimidazione. Quindi mi sembra tutt’altro che saggio mostrarsi troppo “rassicuranti” nei confronti di un nemico che, oltre a sferrare attacchi militari sempre più violenti, esibisce continuamente i muscoli minacciando persino l’impiego di ordigni nucleari, come fanno, a settimane alterne, Putin e i suoi sodali.

Certamente è giusto dire (e pensare) che non si vuole invadere o distruggere la Russia, cosa non solo condannabile in sé, ma anche potenzialmente disastrosa per il mondo intero. D’altra parte, però, ad una ben orchestrata strategia di propaganda e di terrorismo psicologico non si può rispondere che non si ha intenzione di usare mezzi troppo potenti, che l’Ucraina può difendersi ma senza esagerare, e così via. In questo modo, scioccamente autolesionistico, non si fa altro che concedere un ingiustificato vantaggio all’avversario. Un atteggiamento di questo genere, assunto da non pochi Stati europei, non può che indebolire l’alleanza, già di per sé alquanto disunita.

Un’altra regola della guerra è che il vincitore impone le sue condizioni allo sconfitto; in altre parole, che chi si arrende non può negoziare. Di conseguenza, fino a quando almeno uno dei belligeranti ritiene di poter avere la meglio, è molto difficile che sia disponibile a cessare le ostilità e ad intavolare una trattativa. Perché questo avvenga, occorre che entrambi prendano atto di una situazione di stallo che renda conveniente cercare un compromesso, nel quale ciascuno deve – come è ovvio – rinunciare ad una parte delle proprie pretese.

Adolfo Pirozzi