Salvatore Nuvoletta: il carabiniere che non aveva paura

Sara

Legge del taglione. Nel Medioevo, nel diritto romano, era definita così la possibilità di infliggere un danno a chi intenzionalmente ne aveva indotto un altro in precedenza.

Se ne parlò nella Bibbia, nel Codice di Hammurabi. Secoli fa; a dimostrazione di quanto l’occhio per occhio, oggi sia ancor più una sconfitta. Un riscontro tangibile di quanto poco ci siamo evoluti. Di quanto siamo rimasti indietro nel pensiero, nelle interazioni.

Salvatore Nuvoletta aveva solo venti anni. A quell’età, non si può morire da innocente per un ”regolamento di conti”. Non si può esser giustiziati per un mandato della tua stessa famiglia.

Una risposta all’assassinio di Mario Schiavone. Avvenuto pochi giorni prima, in un conflitto a fuoco nella stazione di Casal di Principe. A uccidere era stato un carabiniere e quindi secondo le leggi dei casalesi, un collega doveva pagare.

Quel giorno l’agente era di riposo. La sua unica colpa, era quella di avere lo stesso sangue di alcuni camorristi. Gli stessi che l’hanno rinnegato, comparato a uno scambio di figurine nell’ora di ricreazione alle elementari.

«Salvatore Nuvoletta?» Poi una raffica di pallottole, mentre era di spalle davanti un esercizio commerciale della sua città natale. Aveva un bambino in braccio. Lo lanciò nel suo ultimo gesto d’amore, uno dei tanti compiuti nella breve esistenza.

Si era arruolato appena diciassettenne, seguendo l’esempio dei due fratelli (parte della scorta del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa). Era dedito e coraggioso, seppur cosciente delle minacce e dell’ambiente che lo circondava.

«So di dover morire, ma non ho paura. Io sono un carabiniere.»

Era il 2 luglio 1982. Oggi, due decenni dopo, il suo volto è inciso su una lapide all’interno del parco Don Diana di Caserta. Ha ricevuto una Medaglia d’oro al Merito Civile e una caserma e uno stadio, sono stati intitolati a suo nome.

Oggi, due decenni dopo, l’asfalto dove scorreva il suo sangue regge un palo con sopra un rettangolo bianco che porta le sue iniziali. Per far si che la sua storia resti viva; per non ucciderlo una seconda volta.

di Sara Di Paolo