Le donne nel conflitto israelo-palestinese: la forza silenziosa tra le macerie di Gaza
Nelle strade distrutte della Striscia di Gaza, tra le macerie di case che un tempo custodivano la vita quotidiana, dove le voci dei bambini si mischiava all’odore del pane appena sfornato, si muovono donne che portano sulle spalle il peso di un conflitto che non hanno scelto, ma che subiscono ogni giorno sulla loro pelle.
Ogni guerra ha il suo linguaggio, i suoi numeri, le sue strategie. Ma la crudeltà della guerra si misura nei volti delle madri che scavano tra le rovine con le mani nude cercando i propri figli. Nelle lacrime silenziose delle donne che partoriscono in ospedali al buio, senza anestesia, mentre fuori piovono bombe. Si misura nel coraggio disperato di chi, rimasta sola, deve diventare madre, padre, soccorritrice e protezione.
Secondo le Nazioni Unite, migliaia di donne e ragazze sono state uccise nei bombardamenti degli ultimi mesi. Ma i numeri non bastano a raccontare ciò che si perde davvero, intere generazioni strappate al futuro, famiglie annientate e sogni infranti. Le sopravvissute vivono in tende improvvisate, senza acqua potabile, senza elettricità, con il terrore costante negli occhi. Eppure, ogni mattina, si rialzano. Cercano cibo, curano ferite, consolano bambini che non hanno più l’infanzia.
In mezzo a questa catastrofe umanitaria, le donne di Gaza rappresentano una forza e nel silenzio dimostrano fierezza. Organizzano cucine collettive, curano gli anziani, distribuiscono pane e parole di conforto. Molte hanno perso tutto, ma continuano a tenere insieme ciò che resta delle loro comunità.
Anche in Israele, le donne non sono immuni al dolore. Il 7 ottobre 2023 ha segnato una ferita profonda, madri, figlie, giovani donne sono state vittime di atrocità, rapimenti, abusi. Le famiglie vivono l’angoscia dell’attesa, il vuoto dell’assenza, la rabbia e il lutto. Eppure, da entrambe le parti, si alzano voci femminili che chiedono la fine dell’orrore. Donne israeliane e palestinesi, spesso inascoltate, si uniscono nel grido per la pace, per la dignità, per un futuro che non sia fatto solo di sangue e vendetta.
La violenza non colpisce tutti allo stesso modo. Per le donne, significa anche maggiore vulnerabilità a stupri, sfruttamento, matrimoni forzati. Significa vedere compromessi anni di lotte per i diritti, per l’emancipazione, per un minimo di autonomia. Eppure, è tra le donne che si accende la scintilla della resistenza umana più profonda, quella che non si arrende alla distruzione, che si ostina a proteggere la vita anche quando tutto sembra perduto.
C’è un filo invisibile che lega le madri di Gaza a quelle di Tel Aviv, è il desiderio ostinato di proteggere i propri figli, di non crescerli nell’odio, di vederli giocare invece che scappare. È la consapevolezza che la pace non si costruisce con le armi, ma con l’ascolto, con il riconoscimento del dolore altrui, con il coraggio di spezzare il ciclo della vendetta.
Le donne non sono solo vittime del conflitto. Sono le portatrici della memoria, della cura, della speranza. Ma troppo spesso vengono escluse dai tavoli dove si decide il destino dei popoli. Un futuro giusto e duraturo in questa terra martoriata non sarà possibile finché le loro voci continueranno a restare ai margini.
Raccontare la guerra attraverso gli occhi delle donne significa ricordarci che dietro ogni statistica c’è una storia, un volto, una vita, e che il cuore di ogni ricostruzione, fisica, morale, politica, dovrà partire proprio da loro.
Eligio Scatolini