La terra del noi

L’economia del sociale. L’economia di Francesco. L’economia che ripartisce le risorse in base alle necessità e bisogni.

La scuola napoletana si occupava di pubblica felicità e auspicava un mercato delle virtù cooperative, senza meccanismi di privilegio. Da qui la proposta di “terreni non appartenenti ad alcuno”.

Luigino Bruni descrive bene il concetto di economia della felicità seguendo gli insegnamenti di Achille Loria, che criticò la rendita finanziaria come elemento di ingiustizia sociale. La pubblica felicità, non è una utopia di alcuni sconsiderati, ma una precisa e ben definita scuola di economia: la scuola napoletana.

La proposta di “terreni non appartenenti ad alcuno” sta a significare che si possono soddisfare i bisogni senza essere proprietari dei mezzi di produzione, avendo cura di ripartire le risorse senza nessun principio di avidità.

Nel mondo cattolico contemporaneo, la spinta propulsiva di Papa Francesco, con le sue encicliche che indirizzano verso una economia del sociale, inizia a prendere piede ed essere seguita sempre di più.

La riflessione aperta sulla distribuzione dei benefici che annulla il concetto capitalistico del “profitto” di pochi, elimina anche il concetto di avidità. L’avidità che genera disuguaglianze, fame, povertà, guerre, insomma i mali del mondo vengono e nascono da una sempre maggiore rincorsa alla ricchezza di pochi che tolgono “pane” ai molti. Moltitudini di genti, popoli, affamati, mentre in pochi accumulano ricchezze immense.

Le riflessioni aperte sulla terra del noi, si confrontano scuole di pensiero, critiche nei confronti del capitalismo selvaggio e delle economie di guerra che affamano miliardi di persone.

Oggi, nel mondo, la quasi totalità del genere umano non ha acqua a sufficienza, non ha scuole, non ha ospedali o cure mediche, non ha pane, non ha una pensione per vivere. Tutto avviene nel silenzio totale dei detentori dei mezzi di informazione che ci parlano del niente, ma non ci dicono perché si muore di fame. Perché si muore di sete. Perché si muore. Se la ricchezza mondiale è sufficiente per soddisfare i bisogni della umanità intera.

Una riflessione che i grandi gruppi finanziari evitano di fare. Una riflessione che i pochi super ricchi evitano di fare. Una riflessione che, i partiti, quelli al governo e quelli alla opposizione, non si fanno e non fanno fare. Perché? Perché nessuno vuole rimettere in discussione il concetto di economia neoliberista, basata sulla proprietà privata, sul profitto, sul concetto di avidità.

Una riflessione, però, che Papa Francesco, ormai da anni, ci invita a fare, organizzando, ad Assisi le giornate di studio e ricerca su una nuova economia sociale “Economy of Francesco”. Una economia sociale fondata sul noi, sulla pubblica felicità della scuola napoletana, su i terreni non appartenenti ad alcuno.

Una forza sconvolgente, l’economia sociale di Francesco, che inizia a dare i suoi frutti. I temi trattati dalla economia social di Francesco sono i temi della scuola napoletana, che riprendono vigore, essendo stati oscurati dalla unità d’Italia, che cancello quella scuola economica di pensiero.

Quindi l’industria è l’economia e vista da Francesco Fuoco (economista napoletano n.d.r.) che sosteneva se le quote di reddito distribuite alle classi sociali era distorto e perverso aumentava la povertà. Ma anche “…chiunque osservi con animo spassionato la società umana, avverte facilmente come essa presenti lo strano fenomeno di una assoluta, irrevocabile scissione in due classi rigorosamente distinte; luna delle quali, senza far nulla, s’appropria di redditi enormi e crescenti, laddove l’altra, più numerosa d’assai, lavora dal mattino alla sera della sua vita in contraccambio di una misera mercede; l’una, cioè, vive senza lavorare, mentre l’altra lavora senza vivere, o senza vivere umanamente”.

 

Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini