Il silenzio imposto: vietato parlare di sessualità e affettività a scuola
Tra le cose fatte lo scorso anno scolastico di cui vado più fiero c’è un corso, organizzato dalla ASL Roma 4 e diretto agli alunni e alle alunne di terza media: Educazione all’affettività, alla sessualità e contrasto alla violenza di genere.
Un progetto sugli “aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità”, un progetto che aveva come obiettivo non solo la prevenzione delle gravidanze indesiderate o delle malattie sessualmente trasmissibili, ma che mirava allo “sviluppo completo delle capacità di scelta e relazionali di una persona”. Un progetto che analizzava la sessualità e la sua dimensione complessa, che include “la conoscenza del corpo umano e la propria relazione con esso (anche in relazione ai cambiamenti che avvengono nella delicata fase dell’adolescenza), l’attaccamento emotivo e l’amore romantico, il sesso, il genere, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, l’intimità sessuale, il piacere e la riproduzione”.
Un progetto che, da quest’anno, non potrò più fare. E non lo potrà più fare nessuno nella scuola media italiana.
È l’effetto di un emendamento, approvato in Commissione Cultura alla Camera, al DDL Valditara, che estende il divieto di coinvolgimento di esperti esterni per i corsi di educazione sessuale e affettiva nelle scuole secondarie di primo grado. Un provvedimento che non è ancora ufficiale, ma che lo diventerà presto quando il Parlamento discuterà e voterà la legge, rendendo quindi impossibile per le scuole dell’infanzia, primarie e medie organizzare progetti di questo tipo.
Un passo indietro grave in un contesto, quello scolastico italiano, in cui l’educazione sessuale e affettiva non è parte dei programmi didattici, se non per brevi unità nel curricolo di scienze del terzo anno. Un passo indietro che arriva nel giorno di un nuovo femminicidio, quello di Pamela Genini. Un nuovo femminicidio per cui ci indigneremo, per cui chiederemo interventi, per cui incolperemo anche la scuola. Colpevole di non fare, di non parlare, di non insegnare. La stessa scuola che viene snaturata e depotenziata da emendamenti ideologici e deleteri, se non direttamente pericolosi.
“Non è una misura di equilibrio ma di oscurantismo – ha spiegato a La Repubblica Monica Pasquino, presidente di Educare alle differenze – lo Stato decide che la conoscenza di sé e dell’altro è pericolosa, che la scuola deve tacere. Ma una scuola che tace non educa, addestra”.
Addestra studenti e studentesse al silenzio, alla paura, al tabù. Difende “un modello di società gerarchico e violento”, continua Pasquino. E, soprattutto, colpisce l’autonomia delle scuole, accentrando, controllando e limitando.
La scuola, invece, è libertà e conoscenza, è andare al di là dei libri e dei programmi per parlare di noi, di quello che non conosciamo, di quello che vogliamo sapere. La scuola è costruire la consapevolezza di sé, imparare a rispettare l’altro, sapere come costruire relazioni, conoscere e riconoscere pericoli e rischi, saper chiedere aiuto.
Ed è per questo che parlare di sessualità e di affettività è importante. E lo è ancora di più in Italia, uno dei pochi Paesi europei a non avere educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. Un Paese in cui le donne continuano a essere uccise, molestate, discriminate.
Ed è per questo che anche quest’anno proporrò questo progetto nella mia scuola. Per dare a sempre più alunni nuovi strumenti e nuove conoscenze. Finché ci sarà permesso.
Lamberto Rinaldi

