Un semplice incidente
Dopo la Palma D’Oro a Cannes 2025, e l’anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma, esce nelle sale italiane l’ultimo film del regista iraniano Jafar Panahi Un semplice incidente. Un’auto con alla guida un uomo e a bordo sua moglie e sua figlia adolescente investe un animale. Il mezzo non funziona più bene. La famigliola riesce a raggiungere un’officina. Qui un addetto, non visto, riconosce la voce di quell’uomo, e il semplice incidente si sviluppa immediatamente in una vicenda maledettamente complicata. L’uomo, infatti, si è ritrovato improvvisamente davanti il proprio doloroso passato politico che quell’autista rappresenta. Un passato che ora vorrebbe definitivamente seppellire insieme a quell’uomo la cui voce lo rappresenta. Un seppellimento, però, che si dimostra per niente semplice, come invece è stato quell’incidente d’auto da cui tutto ha inizio.
Jafar Panahi all’inizio della sua carriera è anche stato assistente di un altro grande regista iraniano, Abbas Khiarostami. Nel 1997 Kiarostami vince a Cannes la Palma D’oro con il film Il sapore della ciliegia. Anche lì protagonista è un seppellimento. Altrettanto maledettamente complicato. Un uomo vuole suicidarsi. Ha già scavato la buca dove si ammazzerà, ma cerca qualcuno che gli butti la terra sopra. La buca è protetta dalla gentile ombra di un alberello. Un alberello, ma completamente spoglio, lo troviamo in questo film di Panahi. È esplicitamente l’alberello nudo di Aspettando Godot, la celebre pièce teatrale di Samuel Beckett, perché lo domanda uno dei personaggi accanto a esso: “Ma che stiamo aspettando Godot?”.
Nel Sapore della ciliegia, dunque c’è un uomo che vuole seppellire il suo futuro. In Un semplice incidente, invece, due uomini e due donne, un’intera collettività in piccolo, vuole seppellire il proprio passato. In entrambi i film – ossia in entrambe le due situazioni di realtà, incarnate dal cinema – non ci si riesce. Ho avuto modo di dire queste cose direttamente a Jafar Panahi nell’incontro che c’è stato con lui all’Auditorium durante la Festa del Cinema di Roma. Gli ho chiesto cosa ne pensasse dunque del tempo, del passato, e soprattutto del futuro. Mi ha risposto che il suo film pone proprio la questione del futuro. Perché il problema è se l’umanità riuscirà a interrompere il ciclo perverso rappresentato da qualcuno che sempre nel tempo, nella storia si erge a carnefice, magari proprio dopo essere stato vittima. E così ab infinitum. Da spezzare, infatti, è questa ciclica follia umana che induce chiunque è in situazione di potenza, di superiorità di forza a eleggere, scegliersi una vittima da schiacciare, sopraffare, anche se lui stesso ha subito e porta ancora i segni vivi della sopraffazione di quando è stato vittima.
di Riccardo Tavani

