Guida in stato di ebbrezza

Antonella

Il farmaco che altera i valori non esclude la responsabilità. Il superamento della soglia alcolemica stabilita per legge non ammette prova contraria

Cassazione Penale, Sezione IV 26 ottobre 2011 N. 38793

L’assunzione di farmaci che alterino i risultati dell’alcool test non escludono la responsabilità per guida in stato di ebbrezza nei confronti del conducente risultato positivo.

Lo afferma la Sezione IV della Cassazione Penale che ha rigettato il ricorso proposto da una signora condannata per guida in stato di ebbrezza in seguito ad accertamenti etilometrici eseguiti dalla Polizia stradale.

La ricorrente aveva ammesso di aver consumato un bicchiere di vino, collocando l’assunzione di tale modesta quantità di alcool ad un segmento temporale risalente ad alcune ore prima di mettersi alla guida, ma, essendo la stessa colpita da una rara patologia, aveva addotto a propria giustificazione l’assunzione di particolari farmaci che ritardavano lo smaltimento dell’etanolo nel sangue influenzando in tal modo il risultato dell’alcool test, e producendo a sua difesa studi clinici e pareri medici che confermavano la predetta interferenza dei medicinali.

Orbene, per la Cassazione non conta il perché i valori siano sballati, ma soltanto il fatto che l’etilometro li abbia rilevati.

La Corte di Cassazione ha così respinto il ricorso sancendo che la norma punisce chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza conseguente all’uso di bevande alcoliche ed osservando che il parametro fissato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non sia costituito dalla quantità di alcool ingerita, bensì quella assorbita dal sangue misurata in grammi per litro.

Tale circostanza costituisce con tutta evidenza una presunzione “iuris et de iure“, che porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogni qualvolta venga accertato il superamento della soglia di alcolemia  massimo consentito senza possibilità da parte del conducente di discolparsi fornendo una prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche e la sua idoneità alla guida.

Prosegue inoltre la Corte che, anzi, dalla circostanza che una persona conosca l’interazione di determinati farmaci con l’assunzione di alcool e il loro effetto potenziante, discende la buona norma di non assumerli contemporaneamente e comunque l’obbligo di non mettersi alla guida in tale stato.

Nella specie, per averlo ammesso la stessa imputata, è pacifico che ella avesse assunto un bicchiere di vino, atto che soltanto la stessa colloca alcune ore prima del controllo, sostenendo che, il permanere e il potenziamento dell’effetto di tale modesta quantità di alcol, fossero conseguenza del farmaco.

Anche ammesso che ciò possa essere vero, e cioè che “probabilmente” l’assunzione di quel farmaco ritardava l’eliminazione dell’etanolo nel sangue, aumentano i tempi di “smaltimento”, la responsabilità dell’imputata è per la Corte Suprema correttamente accertata.

Infatti, chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida, oppure, deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale.

O bevi o guidi, insomma, dal momento che guidare è un’attività complessa che richiede chiara capacità di giudizio, buona coordinazione dei movimenti, riflessi rapidi e vista efficiente. Chi guida un veicolo deve esserne consapevole per non mettere a rischio la sua vita e quella degli altri.

La sentenza che si commenta, sancisce un principio particolarmente importante e meritevole di esame.

Essa afferma, infatti, che non può assurgere a scriminante e dunque neutralizzare l’effetto della sanzione penale, l’assunzione di farmaci, i quali per effetto collaterale (ove associati all’assunzione di sostanze alcoliche) possano concorrere a produrre il superamento dei limiti sanciti ex lege per la configurazione del reato di cui all’art. 186 C.d.S.

In buona sostanza i giudici della Suprema Corte, confermando il giudizio di condanna reso in primo grado, eccepiscono e sottolineano l’inoperatività di una condizione scriminante, invocata dall’imputata e – come detto – consistente nella condotta di assunzione di una sostanza  medicamentosa, la quale avrebbe concorso sul piano eziologico alla verificazione della condizione di cd. ebbrezza del soggetto, rilevata – a seguito di controllo etilometrico – in capo all’interessata.

Il ragionamento svolto e trasfuso nella sentenza in disamina pare non del tutto persuasivo e non condivisibile, in quella sua sinteticità, caratteristica che tradisce la non intenzione di motivare, ritenendo priva di qualunque forma di pregio l’assunzione di talune delle sostanze espressamente medicamentose.

Anzi, pare di potere affermare che, proprio su tale preciso abbrivio, i Giudici formulino un preciso rimprovero all’imputata.

Esso, infatti, attiene alla rilevazione e stigmatizzazione implicita di un atteggiamento di imprudenza del soggetto “inquisito”.

Il monito che la Corte emette, nel caso di specie, appare, dunque, chiaro e nient’affatto equivocabile, in quanto esso consiste nell’osservazione che il soggetto, il quale intenda porsi alla guida di qualsiasi veicolo, deve porre massima attenzione alla propria condizione psico-fisica, soprattutto, laddove egli abbia recentemente assunto plurime sostanze che, tra loro, possano, addirittura, risultare incompatibili (ed è proprio l’esempio del caso in questione) e suscettive di effetti alterativi le condizioni psico-fisiche personali.

Lungi dal polemizzare, se ne fa una questione comportamentale mentre non si affronta il problema chimico, sottovalutando una reazione che non può e non deve assumere una valenza neutra.

Né considera che non si può essere informati su tutto, o tanto meno scientemente valutare che il carattere farmacologico di una sostanza sia foriero di cause ed effetti eziologicamente riferibili ad una funzione ben diversa da quella per la quale la sostanza stessa venga assunta.

Ed affrontare superficialmente la problematica attinente all’influenza di un farmaco, denota un atteggiamento che si risolve in una penalizzazione ingiusta delle persone malate.

Sta di fatto che per arginare il dilagante fenomeno degli incidenti stradali e del tasso di mortalità sulle strade, si è deciso di intervenire introducendo norme di forte impronta repressiva, anche in conseguenza di una presa d’atto dei pericoli connessi all’abuso di bevande alcoliche, tra i quali non solo una minore abilità nella guida dovuta ad un rallentamento dei riflessi e dei tempi di reazione con riduzione dell’acutezza visiva e della coordinazione motoria, quanto soprattutto la tendenza a guidare a velocità più sostenuta, effetti in grado di costituire un serio fattore di rischio per la sicurezza stradale.

Ora, se sotto il profilo giuridico, per stato di ebbrezza si intende, in modo non dissimile dalla scienza medica, una condizione fisiopsichica transitoria dovuta all’ingestione di bevande alcooliche, inducente nell’individuo uno stato di alterazione dei processi cognitivo – reattivi, tale da annebbiare semplicemente le facoltà mentali, incidendo sulla prontezza dei riflessi, senza che ciò debba importare necessariamente la perdita, totale o parziale, della capacità di intendere o di volere, ovvero la degradazione completa della personalità, è vero che, com’è noto, gli effetti dell’ingestione di sostanze alcooliche variano da soggetto a soggetto, essendo strettamente connesse alla sua corporatura, alla tolleranza individuale, al sesso, al metabolismo, al tipo di sostanza alcoolica ingerita, ed alle sue modalità di assunzione (a stomaco pieno o a digiuno), nonché al concomitante uso di farmaci in grado di alterarne le proporzioni ed è assolutamente iniquo non tenerne conto.

La sicurezza sulle strade è certamente importante, ma sulla guida in stati alterati siamo quasi a livelli di inquisizione!

Credo che chiunque non sia astemio per scelta o salute abbia avuto occasione di guidare dopo qualche brindisi e si sentisse comunque perfettamente in grado di percorrere il percorso, ignaro che a volte la legge non è perfetta, proprio perché concepita per fattispecie astratte e sembra allora essere applicata per cercare un colpevole più che la verità.

Perché invece non considerare che a valori di alcol nel sangue nettamente inferiori ai limiti stabiliti per legge si possono avere effetti pericolosi per la guida come ad esempio la sopravvalutazione delle proprie capacità di controllo?

Indubbiamente il legislatore per valutare l’idoneità alla guida ha scelto un sistema semplice e senza spazi interpretativi come il test alcolemico, perché è un esame agevole, che dà un numero immediatamente proiettabile su una tabella contenente delle soglie di riferimento.

Non si può però pensare di prendere questo test come oro colato e non considerare fattori attenuanti o aggravanti come l’età, la stazza, l’assuefazione, il sesso o l’uso di farmaci che spostano la soglia oltre la quale non si è effettivamente in grado di guidare.

Il codice della strada prescrive l’obbligo di essere in grado di effettuare in sicurezza e in qualsiasi circostanza qualsiasi manovra con particolare riferimento all’arresto del veicolo, tuttavia in Italia vengono controllati in modo blando vista e udito in sede di rilascio e rinnovo della patente.

E con queste premesse si plaude ad un inasprimento che potrebbe colpire uno pizzicato in un controllo a campione che guidava prudentemente dopo una cena un po’ vivace con gli amici?  E che magari è pure donatore di sangue e midollo e che pertanto si sottopone con cadenza regolare a periodici controlli ematici, i cui valori risultano costantemente nella norma? L’ovvietà della risposta rende superflui commenti in aggiunta all’evidenza!

A ben differenti e più certe conclusioni, seppure temperate da precisi oneri probatori, si potrebbe, invece, ragionevolmente pervenire nel caso in cui la persona sottoposta al controllo sia risultata positiva, in virtù del solo uso di farmaci che presentino caratteristiche organolettiche tali da poter inquinare e distorcere l’esito del controllo.

In questa ipotesi, infatti, il soggetto che sia in grado di assolvere all’onere di allegazione della condizione scriminante invocata (l’ingestione di farmaci) deve essere prosciolto con formula piena, in quanto la propria condotta non risulta viziata da una situazione originaria contra legem, né emergono fattori che possano determinare una sopravvenuta alterazione psico-fisica di carattere illecito.

Vale a dire, dunque, che è di tutta evidenza che, il dovere assumere – in ossequio da una prescrizione medica curativa certificata – farmaci che producano effetti assimilabili a sostanze alcoliche, appare di effetto esimente da responsabilità, solo se a tali sostanze non venga associato in alcun modo altro tipo di eccipiente alcolico.

L’avere invece bevuto vino od altra bevanda equipollente, nella condizione descritta, cioè in un momento contestuale all’ingestione di medicamenti, è condotta che non può divenire automaticamente elemento di autonoma influenza, ponendosi come dato di causazione eziologicamente esclusiva del reato, prevalendo sulla parte di condotta ritenuta lecita e ponendosi così in diretto nesso finalistico con la condizione di ebbrezza del soggetto, ma necessita di valutazione caso per caso, previa verifica di ogni ulteriore elemento, circostanza e indice oggettivo e/o soggettivo di alterazione psicofisica.

Com’è noto essere al digiuno costituisce circostanza che contribuisce ad un maggiore assorbimento metabolico di sostanze. Non si può infine trascurare come, nei soggetti con corporatura esile e magra, disidratati e con poco sangue la concentrazione d’alcool risulta sicuramente maggiore rispetto a quella di un soggetto grasso, stante la capacità dei grassi di trattenere l’alcool. Alcuni effetti poi si prestano ad essere potenziati dagli zuccheri contenuti nei dolci.

Ancora non può non considerarsi la circostanza di chi in una condizione di raffreddamento, si determina a beneficiare delle proprietà antisettiche di alcuni collutori spray a uso topico, a base di etanolo (96%), la cui componente etilica come eccipiente, non è la più idonea a scongiurare la possibilità che il test alcolico sia positivo.

Per non sottacer di alcuni farmaci (come la tintura madre di ECHINACEA per il potenziamento del sistema immunitario e la protezione della gola e dei bronchi) noti per proprietà immunostimolanti, antinfiammatorie e batteriostatiche, che per la gradazione alcolica che li caratterizza sono indubbiamente in grado di provocare un incremento dei livelli di dopamina nel nucleus accumbens, stazione terminale del sistema mesolimbico, con conseguente attivazione dei medesimi circuiti cerebrali, ed in grado di svolgere una funzione vicariante rispetto a quella provocata dall’assunzione di sostanze comunemente etichettate “ d’abuso”.  Addirittura la liquirizia, assunta da chi é affetto da ipotensione, é scientificamente atta a sviluppare molecole che “mimano” quelle dell’alcool.

Altresì in chi soffre di anemia e nei soggetti con bassa sideremia è noto il meccanismo dell’incremento di CDT etanolo indotto.

In considerazione della assunzione dei farmaci indicati, della presenza di riferite e certificate patologie e al vaglio scrupoloso di condizioni e circostanze in grado di alterare la canonicità della misurazione, non può non escludersi che l’esito del test, nella specificità del caso, possa essere falsato e dunque indurre l’Organo Giudicante ad un giudizio di non colpevolezza nei confronti di chi non essendo etilista, né tossicodipendente, la rilevazione alcolemica deve ritenersi estemporanea e probabilmente distorto positivamente da specifiche condizioni e circostanze soggettivamente atte ad influenzare l’accertamento.

E’ indubitabile che si perverrebbe così a pronunce più equilibrate e più aderenti al reale ed alla peculiarità del caso di specie, fino a pervenire ad assoluzioni piene per carenza dell’elemento materiale del reato, in ossequio al principio del libero convincimento del giudice, nell’ordinamento processuale penale, al di là di ogni ragionevole dubbio.

di Antonella Virgilio