Chi ha ucciso Charlie Hebdo?

Camillieri«Carafa (Papa Paolo IV, ndr) in odio al diavolo e al cielo è qui sepolto | col putrido cadavere; lo spirto Erebo ha accolto. | Odiò la pace in terra, la prece ci contese, | ruinò la chiesa e il popolo, uomini e cielo offese; | infido amico, supplice ver l’oste a lui nefasta. | Di più vuoi tu saperne? Fu papa e tanto basta.» (Pasquino)

C’è chi distingue la satira su vari piani, la passa al setaccio e stabilisce cosa sia motto satirico e cosa no, in base a ciò che essa prende a bersaglio o al livello di impatto sul pubblico. C’è una satira definita fascistoide perché colpisce le vittime e non i colpevoli, per alcuni non è nemmeno tale poiché, per esserlo, essa dovrebbe procedere dal basso (il popolo) verso l’alto (il potere) e mai viceversa. C’è da valutare, poi, l’impatto umoristico sul pubblico che può affondare il colpo a diverse profondità, un po’ come le ustioni, bruciando la superficie, come spesso accade nel caso di battute volgari, o ficcandosi in profondità, su un livello interiore e più intellettuale, come avviene quando le citazioni si elevano un minimo sul piano culturale e richiedono alcune concatenazioni strutturali non immediate per tutti.

Io che la satira la osservo da vicino, ho una mente semplice e dotata di due soli poli distintivi, determinati dal gusto e dal vissuto personale. Quando giudico una battuta, nello stabilire se sia buona o meno, faccio affidamento ad una sola domanda: la battuta funziona?

Lo fa se induce a mettere in discussione il potere o il malessere sociale, in qualsiasi forma esso si manifesti, attraverso un meccanismo comico che abbia un impatto mediamente efficace (e per stabilirlo, serve un occhio allenato).

La vignetta di Charlie Hebdo è divertente? Risposta: no. Non solo non fa ridere, è brutta. Ammettiamolo pure. La vignetta di Charlie Hebdo funziona? Questa è la domanda.  Se provoca solo sdegno, no che non funziona, perché l’indignazione ed il disgusto non lasciano spazio alla riflessione. Se ci si legge solo uno sfottò verso i terremotati, no che non funziona. Qual è la chiave di lettura giusta? Non esiste una chiave di lettura giusta. Su di me la vignetta ha funzionato, l’ho trovata orrenda da subito ma mi sono chiesto “vorranno comunicare qualcosa o prendono solo per il culo?” Sono stato costretto a pormi una domanda sul potere ed a chiedermi se fosse presente nella vignetta. Se ogni morto rappresenta una portata diversa, ciò significa che ogni tragedia è un pasto diverso ma sempre nutriente con cui il potere si ingrassa. Questa chiave di lettura funziona, ed allora Charlie Hebdo, malgrado l’oscenità del suo tratto, ha smosso una coscienza, la mia, portandola ad interrogarsi sui rapporti tra il potere e la tragedia.

Quelli di Charlie Hebdo confezionano vignette per lo più brutte, forse di cattivo gusto, magari fascistoidi ma hanno il diritto di esprimersi, è il pubblico, e solo quello, a stabilire se la satira funzioni. Se ancora vendono abbastanza da pagarsi una redazione, evidentemente possono sbattersene del fatto che le autorità francesi prendano le distanze dalle loro battute, o gli italiani si divertano solo con quelle in cui Maometto è fatto oggetto di lazzi osceni senza tollerare quelle che li riguardano. Del resto, dopo la seconda vignetta, che mostrava un chiaro riferimento alla Mafia, è arrivata anche qualche  reazione politica, ricordiamo quella di Alfano che invita i vignettisti di Charlie Hebdo a mettersi la matita dove non batte il sole. Che abbiano toccato un nervo scoperto? Non è uno degli scopi della satira, quello di fare indignare il potere politico?

Più il moto di censura arriva dall’alto, più si è sulla strada giusta.

I versi di Pasquino, belli o non belli, portarono vari papi a moti di censura. Qualcuno voleva buttare la statua nel Tevere, altri la fecero sorvegliare notte e giorno, facendo germogliare motti satirici sotto altre statue ancora. Chi era  sospettato di essere autore di qualche versetto, rischiava pure di finire sulla forca, e successe davvero. La Chiesa non gradiva che la si prendesse in giro ed era il primo obbiettivo di Pasquino.

Almeno un tempo, la satira era sacra ma, oggi, siamo ridotti male. Se essa non ci infastidisce è lecita e siamo tutti Charlie, se lo fa è di cattivo gusto e mandiamo a quel paese Charlie, senza renderci conto di esserci appena mandati affanculo da soli. In realtà, dunque, non è il senso dell’umorismo quello che ci manca, ma una misura decente di coerenza e autocritica.

 di Marco Camillieri