Terra dei fuochi: silenzi e contraddizioni

“La monnezza è oro, dotto’, e la politica è una monnezza!”: era il 1992 quando Nunzio Perrella, ex boss della camorra e collaboratore di giustizia, squarciò per primo il velo sulla follia che per decenni ha avvelenato le terre campane, follia molti anni dopo ribattezzata Ecomafia; al centro della vicenda un comune, Giugliano, luogo da cui tutto è partito, e un avvocato, Cipriano Chianese, titolare di una discarica, nonché uomo chiave dell’affare rifiuti. “La monnezza è oro”: e in oro sono state trasformate tonnellate e tonnellate di rifiuti provenienti da tutta Italia, smaltite senza criterio, per un giro di affari di proporzioni inimmaginabili: rifiuti provenienti dalla filiera delle piccole imprese bruciati in roghi che hanno avvelenato l’aria di sostanze tossiche come la diossina, pattume industriale, solventi, scorie tossiche e radioattive seppellite in enormi buche in decenni di sversamenti illegali, rifiuti urbani, la cui decomposizione produce percolato, liquido inquinante per le falde acquifere. Un danno ambientale che, si stima, produrrà conseguenze all’ecosistema fino al 2080.“La politica è una monnezza”; arriviamo nel 1996, anno in cui Roberto Mancini, agente della Criminalpol, al termine di 2 anni di indagini che si riveleranno essere per lui una condanna a morte (morirà nel 2014 per un tumore contratto a causa del contatto ravvicinato con le sostanze tossiche durante la sua attività investigativa), consegna alla direzione distrettuale antimafia di Napoli una dettagliata informativa a conferma di quanto già dichiarato da Perrella (con il quale sorvolerà i luoghi della follia) e svela il coinvolgimento di Chianese, principale intermediario tra le aziende e il clan dei Casalesi, detentori del monopolio rifiuti. Informativa che, nonostante ciò, resterà chiusa in un cassetto per 15 lunghi anni, fino al 2011, quando il PM Alessandro Milita riavviò le indagini che porteranno alla condanna in primo grado a 20 anni di reclusione di Cipriano Chianese. Nel frattempo, l’incidenza di morte per tumori nei luoghi martoriati aumenta in modo esponenziale. Tanti sono gli interrogativi: l’operazione Cassiopea, la più grande inchiesta nel campo della gestione illecita dei rifiuti, porterà nel 2003 al rinvio a giudizio per 95 imputati: il 2011, però, vedrà cadere tutti i reati in prescrizione; i rapporti quantomeno inopportuni tra il magistrato di punta nelle indagini sulla Terra dei Fuochi, Donato Ceglie, e gli stessi imprenditori e politici oggetto di indagini; la figura di Cipriano Chianese che, nonostante il suo coinvolgimento, viene più volte processato e assolto, lavora tra il 2001 e il 2003 con il commissariato di governo offrendo la sua discarica per far fronte all’ennesima emergenza rifiuti, e intrattiene rapporti con politici e uomini di stato, che più volte gli propongono (secondo quanto da lui dichiarato) di “diventare consulente per il Ministero dell’Ambiente”. Un intreccio che vede coinvolti imprenditori, politici, criminalità organizzata, un sistema strutturato e complesso che ha potuto agire indisturbato per anni a scapito della popolazione, che per anni ha respirato veleni, si è nutrita di sostanze tossiche attraverso i raccolti e le carni degli animali a loro volta avvelenati, bevuto acque inquinate. La storia della Terra dei Fuochi, di fatto, è una storia di morte: morte di un territorio, morte di un’economia, morte di una popolazione (l’ultima vittima, Maria, si è spenta appena ventenne pochi giorni fa, stroncata da un male incurabile in poco più di un mese), morte di un’idea di giustizia sepolta assieme ai rifiuti in nome di un unico obiettivo: il denaro.

di Leandra Gallinella

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