Senza tetto ma non senza Natale
Com’è che si dice? A Natale siamo tutti più buoni.
Lo siamo perché ci sentiamo in colpa.
Il senso di colpa tipico natalizio viene scatenato da diversi fattori: sappiamo di essere dei privilegiati, seduti alle nostre tavole imbandite e strabordanti di cibo eccessivo ed esagerato, guardando un servizio al telegiornale che nel frattempo ci spiega “come riciclare i regali di Natale”. Ci lamentiamo sui Social Network perché siamo costretti a passare le feste insieme ai parenti, perché dobbiamo sopportare chi possiamo evitare durante tutto l’anno, perché il traffico della corsa ai regali ci impedisce di arrivare in tempo agli appuntamenti, perché il periodo di Natale siamo pieni di cene per “farsi gli auguri” o perché il 25 Dicembre ci arrivano degli auguri da persone che non si fanno mai sentire, all’infuori di queste occasioni.
Ci lamentiamo. Sempre. Incessantemente.
Poi arriva un momento di lucidità, magari mentre scartiamo un regalo, o la sera nel letto prima di addormentarci, appesantiti da tutto il cibo che abbiamo mangiato. In quel momento pensiamo a chi non può lamentarsi come noi, perché in realtà non ha nulla: non ha il troppo cibo sulla tavola, non ha i parenti intorno, non ha l’automobile per lamentarsi del traffico, non deve fare regali perché non ha soldi.
I senzatetto non hanno tutto questo. Per la precisione, non hanno nulla, a parte la speranza che il tempo sia clemente e che il gelo non li faccia morire di freddo nelle buie notti invernali.
A Roma, anche quest’anno, la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato il tradizionale pranzo di Natale nella basilica di Santa Maria in Trastevere. Finita la messa del 25, fuori tutti, fuori le belle famiglie nei loro bei vestiti pronti per andare a festeggiare nelle loro belle case, fuori i nonni e le nonne, quelli fortunati, amati dalla famiglia e dai nipoti e portati al calduccio a godersi il Natale in famiglia.
Si portano dentro centinaia di tavole, i ragazzi volontari iniziano a preparare tutto per il grande evento: il pranzo di Natale per i più poveri. 500 posti assegnati, tutto organizzato per un pranzo degno di quel giorno.
Ciò che salta agli occhi sono i sorrisi, la gioia di trascorrere un momento di condivisione, di sedersi ad una tavola, chiacchierare con i vicini e mangiare un buon pasto caldo, grazie all’aiuto dei volontari, delle donazioni, dei ristoratori che mettono ogni anno a disposizione il necessario. “Questo si, è il vero spirito del Natale”, diciamo commossi davanti alle immagini dell’evento in televisione.
E poi?
E poi niente, domani è già Santo Stefano, abbiamo dimenticato cosa significa aiutare il prossimo e non ci importa più niente fino al prossimo Natale. Il nostro problema principale è tornato smaltire gli avanzi delle feste ed i chili di troppo. Ci ripenseremo l’anno prossimo.
di Ludovica Morico