Belle come la libertà: le donne della Resistenza

“Date alle donne occasioni adeguate e possono fare di tutto”

(O. Wilde)

Quando nei primi mesi del ’43 la seconda guerra mondiale entra nelle città e le bombe sfondano i tetti e arrivano dentro le case anche alle donne tocca interpretare la Storia e non soltanto subirla. Sono giovani, disperate o coraggiose, disilluse o forse solo “nuove”,  attive. Vogliono un mondo diverso, per ottenerlo sono disposte anche a morire.

Recapitano informazioni, forniscono assistenza ai partigiani, s’impegnano in campo politico e sanitario.  Molte di loro imbracciano le armi, scontrandosi con la diffidenza dei partigiani maschi. Perché siamo negli anni ’40, il partigiano è uomo del suo tempo e la donna per lui non ha che il dovere di crescere figli senza troppo allontanarsi dal focolare domestico.

E’ invece vita di clandestinità quella alla quale si condannano gli uomini e le donne della Resistenza. La clandestinità è dura,  fatta di settimane intere nascoste nelle cantine o nei boschi, con la paura e il tempo che non passano mai e la conta dei morti che non ti fa dormire. E poi la fame: giorni e giorni senza sapere quando e cosa mangiare. E la fatica, una fatica bestiale: chilometri e chilometri a piedi. Notte e giorno con la stessa camicia, lo stesso vestito, gli stessi calzini.

“Eravamo tutti magrissimi, pallidi, gli abiti cominciavano a caderci addosso, le scarpe avevano le suole già più volte rappezzate e c’era chi portava in pieno inverno zoccoli di legno”

Carla aveva allora 25 anni, era di buona famiglia, ma da partigiana dormiva coi suoi compagni in cantina, sulla terra battuta, in mezzo a mucchi di carbone.

“Mia mamma mi aveva dato una trapunta per andare a dormire in cantina, una di quelle trapunte matrimoniali. Io me la arrotolavo tutta intorno, poi ho visto che gli altri dormivano in terra, allora ho detto: stendiamola per terra e dormiamoci tutti sopra. Anche questo dormire come i cuccioli, uno vicino all’altro, ti dava una certa consolazione, ma c’era molto disagio”.

Le guerre sembrano sempre  cose da uomini, ma basta leggere i numeri ufficiali forniti dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia  per capire che anche le donne hanno partecipato in misura massiccia alla Resistenza. In tutto sono state 35.000 le donne partigiane, inquadrate nelle formazioni combattenti; 20.000 le patriote, con funzioni di supporto; 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa; 16 le medaglie d’oro, 17 quelle d’argento; 512 le commissarie di guerra; 683 le donne fucilate o cadute in combattimento; 1750 le donne ferite; 4633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 1890 le deportate in Germania.

Quelle donne, le donne della Resistenza, giovani e belle come la libertà, oggi non ci sono più. Il tempo le ha prese ormai tutte per sé. I loro nomi si dimenticano, le loro fotografie sbiadiscono. Ci restano le loro conquiste: è stata la loro partecipazione attiva alla guerra di liberazione a pesare su quel processo di emancipazione femminile a cui proprio la Resistenza ha dato il via.

di Daniela Baroncini

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