L’haiku taciuto della famiglia Maraini

In tre soli folgoranti versi, ognuno di cinque, sette, cinque sillabe, la poesia giapponese, attraverso quella sua forma detta haiku, fa trapelare l’universale dalle più piccole, inappariscenti cose che ci circondano. Diciassette stringate sillabe (più precisamente more nella metrica giapponese) che possono sussurrare appena l’ineffabile fruscio d’ali tra le foglie di un ciliegio nella luce del tramonto. Così è il film di Haiku on a plum tree (Haiku su un albero di prugne) di Muja Maraini-Melehi: narrando una storia particolare – e finora sconosciuta – della sua conosciutissima famiglia ci sta raccontando qualcosa che ci riguarda intimamente. La sua famiglia è quella di Fosco Maraini, Topazia Alliata, e delle loro tre figlie Dacia, Yuki e Toni Maraini. Di queste tre figlie, solo Dacia è nata in Italia, a Fiesole nel 1936.

Muja, l’autrice e regista del film, è figlia della scrittrice, storica dell’arte, etnologa Toni Maraini. Pur essendosi svolta questa storia in terra d’Oriente durante la Seconda Guerra Mondiale dello scorso secolo è della storia italiana – non solo di allora – che il film sulla famiglia Maraini in Giappone ci parla. Scriviamo film, perché pur rientrando formalmente l’opera nel genere documentario, essa contiene in sé tutti gli elementi di un vero e proprio film di narrazione: amore, guerra, prigionia, fame, umiliazione, libertà, arte, pensiero. Li contiene e li esprime con grande stile. E a Muja Maraini-Melehi si deve se questa storia è entrata oggi a far parte del nostro patrimonio culturale e vi è entrata l’arte cinematografica.

Nel 1938 Topazia Alliata e Fosco Maraini lasciano Firenze per non essere costretti ad aderire al fascismo. Fosco si era da poco laureato in Scienze Naturali e Antropologiche e la sua brillante attività di studioso e ricercatore sul campo accanto al grande orientalista ed esploratore Giuseppe Tucci lo stava mettendo di fronte a quella scelta. A Sapporo, nell’Hokkaidō, poi a Kyoto, nel Kansay, Fosco è lettore di lingua e letteratura italiana all’Università. Il Giappone, però, fa parte dell’asse bellico-politico Berlino-Roma-Tokyo. La guerra sta volgendo al termine, proprio con il crollo di questo asse. Dopo l’8 settembre 1943, Mussolini fugge da Roma, fondando a Nord, su ordine nazista, la Repubblica Sociale Italiana (RSI) o Repubblica di Salò. Topazia e Fosco vengono separatamente convocati dalla prefettura nipponica locale, affinché firmino la loro adesione al nuovo stato fantoccio mussoliniano. Separatamente, ma mai tanto unitamente, i due si rifiutano di firmare e aderire. Per la seconda volta il loro si svela non solo quale il grande amore romantico, passionale che è stato ma anche un amore indistruttibile per la libertà, per il coraggio del pensiero e delle scelte etiche. Ecco: nella nostra storia nazionale, insieme ai nomi dei quindici professori universitari – su 1200 – che si rifiutano di prestare il giuramento al regime fascista, oggi possiamo e dobbiamo inserire anche quelli di Fosco Maraini e Topazia Alliata. All’altro capo del mondo, sconosciuti, remoti, anzi, completamente eclissati agli occhi dei connazionali e delle patrie vicende pubbliche, pure rifiutano di firmare un atto che – nella loro situazione – si presentava quale poco più che un pro forma. Ricordiamo che nelle università italiane molti docenti firmarono l’atto di fedeltà al fascismo quale mero pro forma, anche su suggerimento sia della Chiesa che di Togliatti. Per questo la vicenda singolarissima della famiglia Maraini in Giappone ci sta parlando di una pagina ancora attuale della nostra storia e carattere nazionale.

La rappresaglia contro Topazia, Fosco e le tre figlie, Dacia, Yuki e Toni è immediata: arresto e deportazione dentro il campo di prigionia a Nagoya. Muja Maraini-Melehi ha compiuto un grande lavoro di ricerca di immagini storiche, conferendo forza iconografica alla sua opera. Tra questo materiale storico inserisce poi animazioni grafiche – realizzate da Basil Twist – che richiamano diversi aspetti dell’arte giapponese, dal teatro alla pittura, e che le permetto di restituire l’atmosfera culturale in cui si svolge la vicenda. Ha girato soprattutto materiale nuovo, attuale, andando sui luoghi della prigionia, delle vessazioni, della fame, del dolore, della dignità della sua famiglia. La direttrice della fotografia Maura Morales si è tenuta a una cifra stilistica che facesse parlare le immagini più per la loro asciuttezza che per una loro facile ridondanza. Immagini che così danno forza alle testimonianze di Topazia, Dacia e Toni. Topazia Alliata è morta all’età di 102 nel novembre del 2015, mentre la sua seconda figlia Yuki era già scomparsa nell’agosto del 1995 e così nel film manca la sua testimonianza. Sotto le immagini scorre la colonna sonora che Ryuichi Sakamoto ha composto per questo film, contenente un pezzo dedicato a Fosco Maraini, intitolato Italian Ainu, per l’importanza della sua ricerca storica, etnografica e fotografica in Giappone. Il film è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma, accompagnato dalla mostra Diario dal Giappone, curata dalle sorelle Muja e Nour Maraini e con le pagine del diario di Topazia, foto, libri, documenti familiari, tra cui uno spezzone di pellicola cinematografica di quegli anni.

Dacia Maraini racconta momenti terribili di quella sua drammatica esperienza di bambina. Il freddo, le umiliazioni assurde inflitte dai carcerieri, la fame, il doversi nutrire di tutto, radici, insetti, topi. Lo racconta con una trasparenza del ricordo, del pensiero e delle parole che ci fa davvero scorrere un film davanti agli occhi. Così come quando cattura una piccolissima rana. Se la potrebbe portare alla bocca e mangiarla con un rapidissimo gesto della mano, ma la guarda prima un attimo e capisce il desiderio di fuggire, salvarsi, continuare a vivere è il suo stesso desiderio di bambina. Così la lascia libera, preferendo continuare a torcersi le budella di fame. “Solo per chi non ha più speranza ci è data la speranza”, scrive Walter Benjamin in Angelus Novus, e Dacia ha visto nella disperazione di quella rana la sua e a entrambe ha dato speranza.

Più sofferta, accidentata la testimonianza di Toni Maraini, ma resa attraverso una tale espressività del volto, dei gesti, della voce, della ricerca di parole più vicine possibile al tormento, impossibile da dire compiutamente, della bambina che era, da metterci davvero dentro quel campo di prigionia. Toni affronta anche il tema della differenza tra quel campo giapponese e quelli di concentramento e stermino nazisti. Sì, dice, una differenza c’era, ma guai ad affermare che uno è ammissibile rispetto agli altri, perché quando si comincia a spingere la condizione umana verso la soglia di quella sub umana già siamo dentro lo stesso progetto di annientamento.

Pur nella sua singolarità circoscritta al perimetro di una famiglia di cinque persone, questa vicenda – ripetiamo – è una pagina di storia nazionale, per l’influenza che Fosco, Topazia, Dacia, Yuki, Toni e ora anche Muja hanno nel pensiero e nella cultura italiana, attraverso l’antropologia, la storia, la fotografia, la letteratura, il teatro, il cinema, l’arte. Un’influenza che è inscindibile dall’alta pagina di storia umana e politica che insieme hanno saputo scrivere per loro stessi, nella resistenza drammaticamente silenziosa delle loro coscienze ed esistenze. Un silenzio che solo questo film ora rompe, restituendone il valore alla memoria nazionale e universale. Una lezione che si riverbera, però, anche all’indietro, a tutto il ceppo Maraini, una famiglia ticinese di Lugano che già dalla metà dell’Ottocento si trasferisce in Italia, a Firenze, a Roma, lasciando un sedimento importante nei diversi campi dell’impegno sociale, politico e culturale umano. Una scia che ha sedimentato nella storia del mondo anche questo prezioso haiku di libertà, restato finora taciuto e sconosciuto.

 Presentato in questi giorni in uno strapieno Cinema Farnese di Roma con una entusiastica accoglienza del pubblico, il film è il 25 giugno al Cinema Beltrade di Milano.

 di Riccardo Tavani