Cinquantuno anni dalla guerra dei sei giorni

Sono trascorsi 51 anni dalla fine della guerra dei 6 giorni combattuta dallo stato di Israele contro l’Egitto, la Siria e la Giordania.

Da allora Gerusalemme Est, la Cisgiordania, Gaza e le alture del Golan sono territori occupati sottoposti all’autorità dall’esercito israeliano.

Le conseguenze di quell’occupazione e il dramma dei rifugiati condizionano, ancora oggi, la geopolitica dell’intera area mediorientale. Ma dopo tanto tempo è ancora possibile parlare di occupazione?

Il diritto internazionale – con i Regolamenti dell’Aia del 1907 (articoli 42-56) e con la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 – stabilisce che un’occupazione è, per sua natura, una fase transitoria, temporalmente definita e destinata a terminare con l’attuazione del diritto internazionale entro un anno dalla fine delle operazioni militari.

Per il diritto internazionale lo stato occupante è considerato alla stregua di un amministratore e usufruttuario degli edifici   pubblici che si trovano nel territorio occupato, ha quindi il diritto di godere della cosa ma deve rispettarne la destinazione economica ed è obbligato alla restituzione.

La Convenzione stabilisce anche che, sotto occupazione, devono essere salvaguardati il diritto di famiglia, la proprietà  privata, le convinzioni religiose e di culto.

La Convenzione, inoltre, vieta la confisca dei beni di proprietà privata e la loro distruzione, mette sotto protezione le donne in stato di gravidanza, i bambini, gli anziani, i malati, il personale sanitario e i giornalisti e, soprattutto, considera il trasferimento e la deportazione della popolazione all’interno dei territori occupati come un vero crimine di guerra.

Ebbene, in questi anni Israele ha ripetutamente violato la maggior parte delle condizioni di ciò che costituisce un’occupazione. Semplicemente, secondo gli standard e le definizioni internazionali, quella israeliana non è più un’occupazione.

D’altronde la politica israeliana non nasconde le sue intenzioni. Rivendica con forza l’annessione delle terre occupate, specie quelle dove sono stati costruiti, in contrasto con il diritto internazionale, insediamenti abitativi per oltre 650mila coloni ebraici.  Reclama a gran voce la città di Gerusalemme come capitale dello stato. Ha suddiviso la Cisgiordania in tre zone. Assedia la striscia di Gaza, con le prevedibili conseguenze sulla popolazione civile, nonostante non si consideri più una potenza occupante dopo che nel 2005 ha attuato il piano di disimpegno unilaterale.

Si può allora sostenere, come qualcuno fa, che Israele sia un paese occupante che “semplicemente” infrange le regole dell’occupazione?

O, piuttosto, una violazione che dura da 51 anni ha trasformato l’occupazione in una colonizzazione?

di Enrico Ceci

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