Cile, stato d’emergenza finito. Ma per i carabineros, la violenza continua

Dicono che lo stato d’emergenza sia terminato, eppure le strade continuano ad essere militarizzate, le forze dell’ordine utilizzano lacrimogeni, proiettili di gomma e molta violenza, soprattutto nei confronti delle donne che manifestano pacificamente come tutti i cileni.
Natalia Bravo, un’avvocatessa cilena dell’associazione Abofema (avvocate femministe) ci racconta che da quando sono iniziate le proteste, assiste coloro che vengono fermati dalla polizia, fatti prigionieri senza seguire nessun protocollo internazionale dei diritti umani, né garanzie di sorta. Si tratta di violazioni lontane dallo Stato di diritto che è il Cile e che hanno come obiettivo primario quello di fermare con la paura e il terrore i manifestanti. Tali azioni vanno dal fermo illegale dei partecipanti, lasciati interi giorni senza poter comunicare con l’esterno, ad atteggiamenti vessatori, soprattutto nei confronti delle donne.
Tale situazione viene anche monitorata dall’Indh (Istituto nazionale dei diritti umani) e grazie al loro lavoro oggi possiamo parlare con numeri alla mano riguardo la cruenta repressione del presidente Sebastián Piñera. Parliamo di 179 denunce, di queste sono 5 quelle per omicidi, 132 torture, 11 per altri tipi di violenza, 18 per abusi sessuali e stupro.
Secondo coloro che sono impegnati in questi giorni nella repressione della protesta civile che ha messo a ferro e fuoco il paese, la polizia infatti, si sarebbe macchiata di crimini orribili tra cui anche la violenza sessuale delle donne detenute. Ci sono le dichiarazioni di chi ha subito violenza, ma non essendoci i registri, non hanno la possibilità di difendersi perché tutto gioca sull’irregolarità. Con la scusa del coprifuoco arrestano chiunque a qualsiasi ora. Come si può immaginare e come ampiamente confermato da altre fonti, il governo cileno sta facendo il possibile per non far trapelare le immagini delle violenze contro la popolazione civile. La Tv mostra solo i saccheggi nei supermercati ma ciò che sta accadendo è molto più grave. Una campagna di terrore che in tutti i modi la popolazione sta cercando di diffondere attraverso la rete, affinché la gente sappia e altri Stati possano intervenire o tentare di porre un freno a questi soprusi.
L’associazione Abofema sta cercando di raccogliere le denunce delle donne abusate, anche attraverso questionari sui social e le testimonianze raccolte sono a dir poco agghiaccianti, feroci, spaventose.
Spesso è anche una violenza “politico-sociale”, quella nei confronti delle donne che ha come scopo di “eliminare dalla partecipazione attiva sociale proprio le donne e le persone Lgbtq che hanno richieste ancora più forti rispetto al cambiamento politico e sociale”.
Non a caso le “donne in lutto” hanno aperto il corteo di venerdì 1 novembre, una delle manifestazioni più grandi da quando è iniziato il dissenso nelle principali città cilene, perché il dramma femminile sia ancora più evidente. Lo scopo non è tanto quello di denunciare ciò che stanno subendo quanto costringere le forze dell’ordine ad aprire un’inchiesta interna o meglio a livello governativo su questi abusi. Una battaglia nella battaglia perché solo per avere i numeri delle denunce dai commissariati, è stato chiesto l’aiuto di parlamentari pur trattandosi di informazioni pubbliche e che gli avvocati avrebbero dovuto avere a disposizione. Il boicottaggio però “non è casuale”, è come se dietro questi comportamenti dei carabineros in varie città cilene, ci sia una regia perché ovunque le loro azioni non risultano mai imprevedibili o accidentali, sono invece troppo simili tra loro per essere definiti casi isolati. Sembrerebbe dunque che esista una vera e propria direttiva d’azione.
Ciò che lascia un brivido di orgoglio nel popolo cileno è che nonostante tutto ciò che abbiamo raccontato e che viene censurato, molti video e testimonianze stanno viaggiando su Internet. Abbiamo potuto così vedere la fierezza di persone che insieme manifestano pacificamente, un fiume di gente che riempie strade e piazze per lottare e guadagnarsi uno stato democratico. Non sono spaventati anzi, le violenze delle forze armate e le intimidazioni, hanno sortito l’effetto contrario al previsto. I cileni hanno tirato fuori quel coraggio, quell’intraprendenza, quell’audacia e temerarietà che ha stupito tutti. Una forza di cui molti di noi, che guardano al di là di un monitor, sanno benissimo di non avere. A noi manca l’ardire di diventare “massa” e rivendicare i nostri diritti.
Così alla manifestazione del 1 novembre c’era anche il Premio Nobel per la Pace del Guatemala, Rigoberta Menchú, che ha marciato dalla sede centrale dell’Università del Cile al Palazzo La Moneda, sede dell’esecutivo, per consegnare una lettera al presidente a cui ha chiesto di porre fine alla violenza della polizia annunciando: “Ci sono vittime che non sono state rese note, o di cui è stato ritardato l’annuncio. Non vogliamo essere i vostri giudici, ma neanche complici del silenzio”.
E forse a noi non rimane che raccontare, divulgare le notizie, diffondere i video perché tutto ciò che lì viene censurato può, con un semplice gesto, fare il giro del mondo. Perché gli altri Paesi sappiano e chi, pur potendo non vorrà intervenire, sarà artefice e complice in egual misura di Sebastián Piñera e dei suoi carabineros.

di Stefania Lastoria

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