Dipingo il volto del mondo
Le persone non risultano definite nei loro volti, se ne percepiscono solo le sagome, ma la luce della lampada a gas è veramente forte, tanto da far sembrare anche il muro esterno del cafè di colore giallo anziché blu come la notte. Era una magnifica notte stellata, tutto era così perfetto, il cameriere si apprestava ad aprire il locale.
“Voglio dipingere un cielo stellato ora. Spesso mi sembra che la notte sia ancora più riccamente colorata del giorno, colorata dei viola, degli azzurri e dei Verdi più intensi. Se guardi attentamente vedrai che alcune stelle sono color limone, altre hanno un bagliore rosa, verde, blu”. Così scrive Vincent Van Gogh in una sua lettera.
Lo spettacolo inizia, il palcoscenico è arredato nei minimi particolari, la scenografia, imponente, rappresenta lo spazio che racchiude la storia. “Van Goch cafè” va in scena all’Ambra Jovinelli di Roma, in un teatro gremito, non ci sono posti vuoti. Tutto ruota intorno ad un libro. Il libro delle lettere di Van Gogh al fratelloTheo.
L’antiquario che lo possiede lo porta con se nel cafè dove il pittore amava sedere, nel tavolo tondo all’angolo, per bere assenzio. Per guardare e sognare della bella Odile, la cantante prostituta di cui si era innamorato.
Il regista, Andrea Ortis, è anche l’antiquario, e canta, in francese e emoziona il pubblico, come lo emozionano le canzoni romantiche cantate dalle attrici, ballerine, cantanti. Un tutt’uno con la recitazione, senza nessuna sbavatura. Tutto sapientemente orchestrato, la musica dal vivo accende gli animi, prende gli spettatori e li conduce nel viaggio visionario di Van Gogh. La solitudine, la disperazione, la follia, sono solo un incantamento per ricucire una assenza: l’assenza dell’amore. Un amore che nasce in forme contrastare ma è più forte di ogni follia.
La follia dell’amore che spinge alle visioni più forti e più intense, tali da permettere di dipingere ciò che non si vede ma c’è. L’invisibile è visibile con il cuore. Ma solo Van Gogh vede con il cuore. Vede colori che nessuno vede. Vede immagini, odori e suoni, che nessuno vede. Ma ci sono. Sono talmente reali che riesce a descriverli nelle sue lettere, aggiungendo che poi dipingerà ciò che ha scritto.
Dipinge la sofferenza della natura, per lui, la natura sono i contadini che amano il frutto del proprio lavoro che con amore condividono tra loro. Dipinge. Dipinge. Dipinge Van Gogh, l’amore, l’assenza dell’amore nel volto del mondo.
“Mi piace dipingere moltissimo sul posto di notte, è verissimo che al buio posso scambiare un blu per un verde, un blu lilla per un rosa lilla, poiché non si riesce a distinguere chiaramente il colore. Ma è l’unico modo per uscire dalla notte nera, convenzionale, illuminata da una luce pallida e biancastra, mentre in realtà una semplice candela ci regala i gialli e gli arancioni più ricchi”. Questa non è follia. Questa è la visione del cuore che ama in assenza dell’amore. Una visione che non nasce dalla follia bensì da una grande, disperata, immensa forza distruttrice di un mondo contrario al suo modo di viverlo. Un mondo talmente umile, ma talmente amorevole, come i mangiatori di patate, da essere in contrario alle leggi universali della natura. Van Gogh con la sua “sana” follia dipinge il volto del mondo che nessuno vede e tutti fanno finta di non vedere, vivendo con indifferenza anche l’amore quando è presente. Una storia ben interpretata, che annulla il divario tra spettatori e attori, tutti entrano nei colori e nelle immagini della follia “sana” ma contraria al modello di vivere sordo e senza nessun colore.
Van Gogh cafè e il volto del mondo che nessuno vuole vedere. Grazie ad Andrea Ortis e alla sua compagnia per averci mostrato una realtà altrimenti nascosta e relegata al luogo comune della follia.
Claudio Caldarelli