Università: numero chiuso o no?

La legge italiana sul numero chiuso nelle università è la 341 del 19 novembre 1990, parliamo quindi di quasi 33 anni fa, questa legge prevede che il ministero competente, sentito il parere del Consiglio Universitario Nazionale, stabilisca i criteri generali per regolamentare l’accesso alle scuole di specializzazione e ai corsi di laurea. Nel 1997 la legge n. 197 ne modificò alcuni articoli e nel 1998 alcuni Tribunali Amministrativi Italiano ne sollevarono la legittimità costituzionale arrivando ad una sentenza, la n.383 del 27 novembre 1998 nella quale si legge che dall’ultima modifica ne sarebbe risultato “un potere illimitato, arbitrario e privo di ogni vincolo (del ministro, cdr), non più di regolare l’accesso ai corsi di iscrizione limitata, ma addirittura di stabilire quali corsi siano di tal genere, in violazione della riserva di legge contenuta nell’art. 33, secondo comma della Costituzione”. L’accesso ai corsi universitari viene successivamente regolato dalla legge 264/1999.

La questione del numero chiuso emerge ogni qualvolta gli atenei, sul principio costituzionale di autonomia di università e accademie, inseriscono questo principio anche per l’iscrizione alle facoltà. Il numero chiuso, secondo molti, è una limitazione del diritto allo studio, costituzionalmente garantito, introdotto solo per arginare la drastica riduzione del corpo docenti e delle infrastrutture necessarie a svolgere le attività didattiche sotto la scure dei continui tagli all’istruzione.

Le Università devono infatti, per poter dare una adeguata offerta formativa e quindi far partire il corso di laurea, rispettare l’equilibrio tra il numero dei professori e quello degli iscritti. Tanto per farsi un’idea, ci vogliono 9 docenti per corso di laurea triennale e 6 per la magistrale. Rispettare questo equilibrio e quindi la soglia numerica dei posti accedibili è molto difficile, non tanto per il numero degli iscritti, che nel tempo si assottiglia sempre di più, ma quanto per la cronica mancanza di docenti e di infrastrutture. Quindi il numero chiuso non è giustificato da un potenziale assalto di studenti ma dai tagli all’istruzione.

L’istruzione pubblica è quindi in deficit di offerte formative a cui tutti possono accedere, lasciando ampi spazi di conquista alle università private, anche telematiche, costose e quindi non per tutti. Più risorse e più investimenti nell’istruzione pubblica significa più cervelli che possono portare contributi notevoli in molti campi scientifici, umanistici, tecnici e della ricerca in generale.

L’istruzione è la chiave di volta per aumentare il prodotto interno lordo del nostro paese, investire in essa significa investire nel nostro futuro. Molti cervelli si perdono con i test di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso e un test non può stabilire a priori chi è migliore, esso serve solo a decimare gli aspiranti corsisti, ma chi ci dice che tra quelli scartati non ci sia stato il miglior medico, scienziato, fisico, archeologo, biologo etc…? e magari sia passata una parte di mediocrità? La bravura, la dote, l’intelligenza, l’acume, l’intuito e, mi permetto di dire, la passione si vedono passo dopo passo. Sono gli esami e il loro punteggio che fanno la selezione, e alla fine arriverà al traguardo solo chi veramente ha eccelso.

Abbiamo bisogno di medici, ma ne escono pochi dalle università, perchè magari chi ha superato il test ha poi abbandonato. Ecco forse è giunto il momento di eliminare il numero chiuso, sapendo bene che se si elimina oggi i benefici si vedranno solo tra un po di anni, ma va fatto, sia per recuperare gli spazi in favore dell’istruzione pubblica sia per formare, e quindi investire nelle eccellenze.

Livia Scatolini

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