Conta più il corpo, o l’immagine di esso?
È attraverso il corpo che viviamo la realtà: esso ci serve per sopravvivere, lavorare e relazionarci con gli altri. O almeno, così abbiamo sempre creduto, come sostiene lo scrittore Walter Siti. Le innovazioni tecnologiche, dai social all’intelligenza artificiale, stanno però ridefinendo il nostro modo di concepire il corpo. Nel suo saggio C’era una volta il corpo, presentato giovedì 12 dicembre nell’Oratorio Novo della Biblioteca Civica, Siti ha dialogato con il filosofo Aluisi Tosolini esplorando le differenze tra il corpo di ieri e quello di oggi.
Senza rimpianti per il passato, Siti guarda al futuro con curiosità, spiegando la scelta del titolo: “I corpi che conoscevo stanno scomparendo, ma non li rimpiango. Voglio capire quale corpo prenderà il loro posto. Non è detto che i corpi siano finiti, stanno semplicemente cambiando forma”.
Per comprendere questi cambiamenti, Siti osserva innanzitutto i giovani: “I corpi che vedo nel quadrilatero della moda a Milano sono corpi in transizione”. Non si riferisce alla transizione di genere, ma a una trasformazione sociale e culturale: “Sono avanguardie, i corpi che esisteranno quando io non ci sarò più”.
Giovani che camminano per il centro, in fila davanti ai negozi, sembrano inconsapevolmente pronti per un selfie. Gli abiti e gli atteggiamenti suggeriscono un corpo che, dice Siti, “è già pensato per essere comunicazione”. Negli ultimi decenni, il corpo ha estremizzato la sua funzione di “biglietto da visita”. “Negli anni Sessanta pensavamo al corpo come fonte di piacere, benessere, o anche caos. Non immaginavamo che potesse diventare un oggetto di comunicazione. Oggi, invece, conta più l’immagine del corpo che il corpo stesso”.
Sempre più ventenni percepiscono il loro corpo come una proiezione pubblica e sono pronti a modificarlo per soddisfare le aspettative sociali. Grazie al web, il corpo si è anche liberato dai confini di spazio e tempo: “I ragazzi, schiacciati sul presente, parlano facilmente con coetanei a Seul o Cincinnati, perdendo la dimensione di storia e geografia”.
Il corpo diventa marginale in molte attività quotidiane. “Un tempo serviva forza fisica per certe azioni”, spiega Siti, “oggi la tecnologia le compensa”. Questo vale anche per il lavoro: molte mansioni non richiedono più il movimento fisico, segnando una differenza tra il “corpo padronale”, sostenuto dalla tecnologia, e il “corpo servile”, ancora necessario perché economicamente più conveniente delle macchine.
Tuttavia, la tecnologia offre al corpo nuove potenzialità, con la realtà aumentata e la prospettiva di un “corpo aumentato” capace di sfidare malattie e morte. Accanto a questa sensazione di onnipotenza emerge però una fragilità profonda, tipica dell’Occidente, dove si fatica ad accettare imperfezioni come vecchiaia o bruttezza.
Nel saggio, Siti affronta anche i corpi nell’arte, le estremizzazioni fisiche come il bodybuilding o l’anoressia, e l’influenza dei social e degli influencer. Ma il corpo rimane centrale nelle relazioni: “Un tempo riconoscevo la fotografia di un corpo reale da un’immagine generata dall’intelligenza artificiale; ora non ci riesco più”. Questo apre scenari inquietanti, come l’inseguimento di un “desiderio artificiale”.
Nonostante tutto, Siti conclude con una nota di speranza: “Corpi che, in futuro, non potranno fare a meno di desiderarsi, e forse, di amarsi”.
Aurora Ercoli