Il pregiudizio accanto a Pedro

Uno dei più bei film del regista spagnolo Pedro Almodóvar è colpito innanzitutto da un pregiudizio e in secondo luogo da una critica che è esattamente speculare a tale preconcetto, peraltro del tutto infondato. Esso fa sì che molte persone dichiarino preventivamente che non andranno mai a vederlo, perché il tema al centro del film – quello dell’eutanasia – le coinvolgerebbe troppo emotivamente. Parte, fortunatamente minoritaria, di chi ha visto La stanza accanto, invece, sostiene che è troppo poco coinvolgente emotivamente, intriso di eleganza fredda, indulgendo sul patinato, sullo chic dell’ambiente sociale, culturale, e persino urbano-architettonico. Per il pregiudizio è troppo emozionalmente turbativo; per la critica – all’opposto – troppo poco passionale, anzi per niente. La maggior parte del pubblico che – conoscendo le qualità dell’artista – supera il pregiudizio, e va a vederla, apprezza pienamente l’opera, sentendo che lo stile sobrio della messinscena, le inquadrature limpide, terse, servono squarciare il velo del paraocchi preventivo, e questo non per approdare a una visione algida, troppo distaccata. No, il compito è fare pulizia sullo sguardo che abbiamo della morte, e offrirci la possibilità di una visione rasserenata. Il nostro sguardo, infatti, è aberrato, alterato da un pregiudizio nichilista, legato anche alla tragicità dell’accanimento o dalla violenza cui si ricorre togliendosi la vita da soli, magari sparandosi, gettandosi da una finestra, svuotando tubetti di farmaci. In questo film, invece, dopo aver visto il film, si esce non in stato di angoscia, ma paradossalmente in quello di serenità, per la qualità artistica del film, attraverso cui è resa la possibilità del compimento non tragicamente straziante di questo cruciale passaggio esistenziale.

Una celebre corrispondente di guerra, Martha Hunt, colpita da un male irreversibile, chiede alla sua amica scrittrice, Ingrid Parker, di starle vicina, non in quella sua, ma nella stanza accanto, quando deciderà di abbandonare il party, assumendo il farmaco conclusivo, acquistato sul dark web, ossia in quella parte sommersa, oscura della rete, sconosciuta alla normale navigazione informatica. La storia è ambientata in Amarica, a New York. Le due amiche sono interpretate da Tilda Swinton, la giornalista, e da Julianne Moore, la scrittrice. Le due verranno quasi a fondersi in un unico, inseparabile personaggio nel corso della storia. Accanto a loro compare a tratti anche un uomo che è stato sentimentalmente legato a entrambe in epoche diverse. È Damian, noto intellettuale prima molto impegnato, ora disilluso, interpretato da John Turturro. La sua disamina cruda – in un passaggio di dialogo con Ingrid – sullo stato a cui il capitalismo ha ridotto il pianeta ci dice che il tema della morte della sua ex amante riflette quello dell’intera civiltà. Il titolo originale del film è The room next door, e la lingua l’inglese americano.  E a proposito di morte c’è un accenno al brano finale del racconto di James Joice, The Dead, I morti, l’ultimo del libro suo libro del 1914 Gente di Dublino. Brano citato anche in altri film, a cominciare da The Dead, di John Huston del 1987. Preziose anche le citazioni iconografiche, di immagini pittoriche, realizzate con inquadrature che richiamano esplicitamente  quadri di Edward Hopper.

Certo, la vicenda si svolge in un ambiente socialmente e culturalmente elevato, ma questo non è un dato di ‘ficaggine’ estetica. Al contrario, è un fatto assolutamente realistico. Chi, infatti, si può oggi permettere una scelta come quella mostrata nel film? Unicamente chi può economicamente permetterselo. Anche in Italia si sono avuti casi di personaggi pubblici che hanno fatto ricorso all’eutanasia in cliniche svizzere o altrove, pagando cifre che non tutti possono permettersi. Il regista Mario Monicelli, invece, che magari poteva economicamente sostenerlo, si è visto costretto alla modalità sbrigativa, violenta, quasi un’auto esecuzione. Ricoverato all’Ospedale San Giovanni di Roma, in procinto di essere intubato, e privato della propria autonomia e volontà, il 29 novembre 2010, all’età di 95 anni, si è gettato giù da una finestra del reparto Urologia al quinto piano.

Ma il significato alla fine del film è esplicitamente proprio questo: perché non possiamo farlo tutte, tutti in questo nel modo più limpido, sereno possibile, proprio per la drammatica inconoscibilità del saliente evento? E nonostante pregiudizi e critiche infondate che lo colpiscono, il film di Pedro è in sé un viatico di speranza, serenità, amicizia sulla linea d’orizzonte di quel passaggio.

Riccardo Tavani