Jerry Masslo, prima vittima dell’oro rosso
Jerry Masslo era un giovane sudafricano, fuggito dal regime di apartheid del suo Paese in cerca di una vita migliore. Simpatizzante dell’African Nation Congress di Mandela, Masslo aveva perso il padre e il figlio, ucciso durante una manifestazione per i diritti dei neri, quando decide finalmente di scappare assieme al fratello. Si imbarcano da Cape Town ma il fratello si ammala, quindi lui scende in Nigeria in cerca di medicine. Non gli sarà più permesso di salire a bordo, e lui è costretto a vendere ciò che gli è rimasto, un braccialetto e un orologio, ultimi ricordi del padre, e acquista un biglietto per l’Italia. Il 21 marzo del 1988 atterra a Fiumicino e chiede immediatamente asilo politico, ma gli viene negato. Decide di rimanere in Italia e comincia a fare qualsiasi lavoro gli si presenti, accolto nel frattempo dalla Comunità di Sant’Egidio nella “Tenda di Abramo”, a Trastevere. non potendo per questo cercare un lavoro regolare, l’estate successiva decide di spostarsi a Villa Literno, per la raccolta stagionale dei pomodori. Il giro d’affari dell’oro rosso era già florido, e il numero degli immigrati elevatissimo. Per tenere basso e competitivo il prezzo, era necessario che la paga non variasse nemmeno di un centesimo, i migranti erano gli unici disposti a lavorare come schiavi. Presto le città del sud si riempirono dei primi immigrati in un Paese di emigranti. Meno che umani, Masslo e gli altri vivevano nei ruderi abbandonati nelle campagne, senza acqua né luce, alcuni addirittura nei loculi vuoti dei cimiteri. La mattina si riunivano nella piazza del paese, ribattezzata da alcuni la “piazza degli schiavi”, in attesa dei caporali. Massimo mille lire a cassa da 25 chili. Prezzi raddoppiati per loro in paese per i generi alimentari, come inaspriti erano gli animi dei residenti, che ben presto cominciarono ad organizzare dei veri e propri squadroni per picchiare o rapinare i neri come Masslo.
E in unno di questi episodi, la notte del 24 agosto 1989, un gruppo di uomini a capo coperto fecero irruzione nel capannone di via Gallinelle, dove Masslo dormiva con altri lavoratori immigrati. Ad armi spianate chiesero che gli venisse consegnato tutto il denaro che avevano guadagnato nei mesi precedenti, che loro tenevano nascosto addosso o sotto i cuscini. Alcuni, impauriti, consegnarono subito i soldi, altri invece opposero resistenza. Fu così che uno dei ladri colpì alla testa il sudanese Bol Yansen col calcio della pistola, creando il panico tra i presenti. Jerry Masslo ed altri cominciarono a fuggire, inseguiti dagli incappucciati che cominciarono a sparare. Masslo morì, colpito dai proiettili, prima dell’intervento dei medici.
Il suo omicidio scosse l’opinione pubblica, e fu la prima vera volta in cui l’Italia si accorse del problema dello sfruttamento della manodopera di quegli immigrati che erano fino a quel momento rimasti invisibili.
Il suo nome, negli anni, è caduto nel dimenticatoio, così come l’indignazione dell’epoca. La situazione, di fatto, come ricorda Rosarno, non è cambiata di una virgola.
di Simone Cerulli