Diario dal Giappone 2. Il fascino delle macchine a cubetto
Deve esserci per forza qualcosa tra lo skyline di Tokyo e le macchine che lo attraversano. Una relazione, una simbiosi, un incastro, come nelle righe di un tetris. Tra i grattacieli, gli uffici, le viette di case private scorre infatti un fiume di auto che sembrano uscite da un manga. Piccole, cubiche, compatte, incredibilmente simili al contorno urbano. Hanno nomi diversi: StepWgn, Bongo Friendee, Naged, Wagon R, Cube. Per me, per noi che le vediamo, sono le auto a cubetto. Un unicum del Giappone e del suo mercato automobilistico. Un prodotto non replicabile altrove e pensato proprio per le città e per lo stile di vita giapponese.
Partiamo dai numeri, quelli delle dimensioni: queste automobili, kei car il termine tecnico, non possono essere più unge di 3,40 metri, non più larghe di 1,48 m e con una potenza minore ai 64 CV. In questa maniera la Registration Tax da pagare è più bassa rispetto a un’auto tradizionale, mentre la tassa annuale che si basa sul peso è quasi la metà. Altro vantaggio: se abiti a Tokyo e vuoi comprarti una macchina devi anche dimostrare di avere un luogo dove parcheggiarla oppure affittarlo e viste le dimensioni ridotte con le kei car si paga meno e in alcune zone non è neppure richiesto il certificato di garage. “Dati questi limiti, tipici in un paese in continua lotta per ospitare 125 milioni di abitanti su una sottile lingua di territorio, i disegnatori riconoscono che la forma che meglio si presta a sfruttare tutto lo spazio disponibile sia quella di un parallelepipedo, o meglio di una scatola” spiegava Peter Nunn per La Repubblica. Il record di immatricolazioni di queste vetture è nel 2013, quando hanno raggiunto il 40%. A vent’anni esatti dalla loro comparsa, nel 1993. È la Suzuki la prima a lanciare la Wagon R, la prima kei car della storia. Efficiente, pratica, funzionale. Per alcuni brutta, per altri semplicemente diversa, rivoluzionaria, “iconoclasta dei principi canonici di bellezza”. Gli standard ridotti, in realtà, nascono in pieno dopoguerra, nel 1949, proprio per dare impulso alla crescita economica e alla ripresa industriale.
Utilizzata soprattutto dalla classe media, difesa a spada tratta dal Partito Comunista Giapponese e da quello Socialdemocratico, che si sono scagliati contro l’innalzamento delle tasse sui veicoli leggeri, le macchine a cubo sono il simbolo di un mondo lontanissimo a noi. Perché da noi conta più l’esterno, la facciata, lo stile fine a sé stesso. Per alcuni, invece, conta di più la praticità, il contenuto, la sostanza. È anche per questo che per anni ho avuto una Citroen Saxo scassata e adesso ho una Fiat Panda. Dentro ci ho messo di tutto, libri, mobili, mattoni, manifesti, galline, nocciole e olive. Sono sicuro che da qualche parte, in Giappone, c’è qualcuno che ha fatto lo stesso con una macchina a cubetto.
Lamberto Rinaldi