Liberare 50 donne da un manicomio in India e riconvertire la struttura in un centro di salute mentale

La parola manicomio mi fa pensare a quella che fu la realtà italiana e il solo fatto che ancora oggi in India si utilizzi lo stesso termine, a distanza di così tanti anni, mi fa associare la nostra storia di un tempo con quella attuale che ha per protagoniste ben 50 donne indiane.

Il manicomio era un istituto destinato in passato alla segregazione dei malati di mente e per lungo tempo rimase un luogo di internamento coatto anziché un centro di terapia e di riabilitazione attiva. Solo a partire dagli anni Cinquanta, grazie all’affermazione di una nuova concezione della psichiatria si arrivò all’abolizione dell’istituto manicomiale in molti paesi. In Italia l’esperienza e la forte determinazione di Franco Basaglia sfociò nell’approvazione di una legge (l. 13 maggio 1978 n. 180) che stabiliva, tra l’altro, l’abolizione del manicomio e la creazione di nuove strutture idonee alla consulenza, programmazione delle terapie, informazione ed assistenza, al fine di ridare dignità al malato.

Ebbene, nel nostro caso, dare una speranza e liberare letteralmente cinquanta donne, oggi rinchiuse in un manicomio di Kochi, nello stato del Karala in India, sta diventando un’avventura che, se portata a termine, ci fa pensare che la volontà, la solidarietà, la disponibilità e il sostegno dei singoli, possa davvero arrivare a raggiungere imprese inimmaginabili.

L’obiettivo è quello di aprire nella stessa città, un Centro di salute mentale (Csm), simile a quelli che esistono in Italia. È la sfida che vede impegnato il movimento “Le Parole ritrovate”, un’associazione nata a Trento quasi 30 anni fa e composta da medici e operatori psichiatrici, utenti dei Csm e loro familiari. Il fine che ci si è prefissati, è esattamente quello di riconvertire a Kochi una struttura – inizialmente destinata ad ospitare una scuola e già parzialmente edificata e messa a disposizione dalle suore Domenicane di Santa Maria del Rosario – in un Centro di salute mentale e un centro di accoglienza per le ospiti che saranno così “liberate” dal manicomio. Le stesse suore sono già da tempo in contatto con un gruppo misto della salute mentale di Prato che ogni anno si reca a Kochi per aiutare chi è costretto a vivere nel manicomio, per dare il loro supporto psicologico, la loro esperienza, per monitorare la situazione delle singole donne rinchiuse al fine di ridare dignità e rispettabilità al “malato” visto sotto un altro punto di vista. Vale a dire quello di una persona bisognosa di cure adeguate e di giuste attenzioni, per fragilità e sensibilità finora messe a dura prova.

Attualmente il primo scoglio da superare è raccogliere la somma necessaria per riadattare l’edificio. Si parla di circa 300 mila euro, un terzo dei quali si è impegnato a reperirlo, con una campagna di raccolta fondi partita in questi giorni, proprio il movimento “Le Parole ritrovate”.

Ci spiega il Dottor Renzo De Stefani, referente di questo movimento, che si tratta per loro di una sfida che hanno raccolto per dare speranza a tante persone oggi escluse dalla comunità e rinchiuse in strutture di morte affinché si possa restituire loro, la dignità e i diritti fondamentali che devono essere garantiti ad ogni essere umano. Una battaglia etica, ma anche ancorata alla scientificità di cure riconosciute e ai modelli del welfare di comunità.

De Stefani ai primi di dicembre dello scorso anno si è recato a Kochi per esaminare la situazione e valutare la fattibilità del progetto. La struttura copre 2.500 metri quadrati ed é costruita a parallelepipedo con un ampio cortile interno che la rende ariosa e atta a favorire una dimensione di relazionalità “aperta”. All’esterno ha una vasta superficie che può essere adibita a diverse destinazioni, dal lavoro, all’intrattenimento e al coinvolgimento del quartiere.

Insomma, l’edificio per come è stato costruito, sembra il luogo ideale per realizzare il progetto di cui stiamo parlando.

Per ora siamo nella fase della raccolta dei fondi necessari. Pare siano state stampate centinaia di cartoline come autofinanziamento, ognuna è un pezzo unico in quanto reca un numero univoco e, vendute a offerta libera, verranno spedite da Kochi all’indirizzo indicato dai benefattori. Un modo originale per dare risonanza all’iniziativa ma soprattutto un’idea creativa per realizzare un progetto degno di attenzione e per salvare dal vuoto, dalle sottomissioni e da una morte certa, ben cinquanta donne che avrebbero il luogo ideale in cui essere accudite, rieducate alla vita e curate da personale specializzato.

E la dignità ritrovata di queste persone non ha prezzo. Solo un grazie a chi, con energia e voglia di fare, sta portando avanti un sogno di speranza per molti.

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