Cine-pillole con Amuchina

La Gomera – L’isola dei fischi. Originale noir d’atmosfera con ritmo, suspense e precisi ingranaggi a incastro. Romania: un poliziotto corrotto, l’avvenente donna di un rapinatore in galera, una capo-investigatrice spietata e ambigua, che ha seminato telecamere dappertutto. Gomera, perla delle Canarie: un capo mafioso internazionale deve recuperare un malloppo miliardario scomparso proprio in Romania. Convoca lo sbirro corrotto sull’isola perché impari el siblo, il linguaggio dei fischi. Obbiettivo: far evadere il rapinatore romeno che ha fatto sparire la grana. Flashback, colpi di scena, d’arma da fuoco, sesso e ironia, citazioni e spezzoni di classici del noir. Con il fiato sospeso fino alla fine, gran finale a sorpresa a Singapore. La versione originale con sottotitoli in italiano è in romeno, spagnolo, inglese e siblo.

Doppio sospetto. Thriller sproporzionato. Villetta bifamiliare, anni ‘60. Alice e Céline, due madri, due inseparabili amiche per la pelle. Il figlio di una delle due muore cadendo da una finestra, cercando di riprendere il suo gatto da un cornicione esterno. Si infrange l’amicizia. Sottilmente iniziano ad accadere fatti insoliti, sempre più preoccupanti al figlio di Alice. Dietro la facciata della normalità perbenista borghese si annida l’anormale, il sospetto, la perfidia. E vince chi sa giocare con più raggelante e intelligente spietatezza. L’importante non è salvare la morale ma godersi la falsa facciata. La sproporzione è in un antefatto voluto, artificioso – la morte del bambino – realizzato tra l’altro in modo cinematograficamente e narrativa troppo banale e tutto il successivo, pretenzioso intreccio.

Cattive acque. Grande storia vera d’impegno civile. L’attore americano Mark Ruffalo produce personalmente e interpreta questo film su una battaglia legale e civile americana di grandi proporzioni ma praticamente sconosciuta da noi. L’avvocato in ascesa Rob Billott, da difensore delle industrie chimiche diventa il maggior incubo per una delle più grandi e potenti, la Dupont. Il titolo, che nell’originale è Dark Water, si riferisce non solo al micidiale sversamento di rifiuti tossici in Virginia ma anche al Teflon, il materiale che riveste le padelle che milioni di famiglie americane usano con fiducia più volte al giorno, messe all’oscuro della contaminazione letale dei tessuti interni umani che produce, di cui la compagnia è invece pienamente a conoscenza. Il film rientra nel grande filone del cinema americano d’inchiesta e di denuncia.

Criminali come noi. Commedia ma su un dramma collettivo vero.  Anche qui un attore, l’argentino Ricardo Darín, finanzia direttamente il film di cui è il principale protagonista. Nel 2001 gli argentini vedono i loro risparmi in dollari convertiti dalla sera alla mattina nella super svalutata moneta nazionale, il pesos argentino. È un’autentica tragedia che riduce letteralmente sul lastrico, sul ciglio della strada milioni di persone che – a fronte dei ricorrenti fracassi monetario-finanziari del loro Paese – contavano sulla solidità internazionale dei loro risparmi in dollari americani. Fu una delle più colossali truffe di Stato. Un gruppo di truffati della profonda provincia argentina tenta un’impresa totalmente al di sopra delle proprie possibilità di riuscita. Ma la posta è il sogno di riscatto di un’intera nazione che vi si riconosce.

Memorie di un assassino. Il genere poliziesco genialmente sconvolto prima di Parasite. Dopo la recente vittoria di ben quattro Oscar, le sale ripropongono un film di Bong Joon-ho del 2003. La vicenda si svolge nel 1986, all’epoca del regime autoritario instaurato dal generale golpista Chun Doo-hwan. In uno sperduta zona agricola della Corea del Sud un serial killer uccide sempre allo stesso modo e sempre nelle sere di pioggia delle donne. Viene inviato un giovane sofisticato detective da Seul per coadiuvare la polizia locale, capace solo di torturare per estorcere confessioni che si dimostrano inevitabilmente infondate. Tra ironia, sarcasmo e brutalità specchio del volto anonimo d’un intera società, la violazione finale di una delle principali regole del genere poliziesco serve però all’autore per rendere la sua critica corrosiva riferita non solo a quel ormai lontano passato.

Lontano lontano. Godibile, arguta commedia a marchio Gianni Di Gregorio. Un fenomeno sociale che riguarda ormai migliaia di pensionati in fuga dall’Italia alla ricerca del Paese che gli raddoppi lo scarso introito mensile. Il regista dice che l’idea gliel’ha data Matteo Garrone, convincendolo che un film su quel tema poteva realizzarlo solo lui. Ennio Fantastichini, Giorgio Colangeli e lo stesso Gianni Di Gregorio costituiscono lo spassoso ma anche serio terzetto verso la fuga per la libertà. Tra loro, però, c’è anche Abu e anche lui vuole andare lontano lontano. Non manca uno stralunato Roberto Herlitzka, nel ruolo di un vecchio prof che sa tutto di geografia pensionistica. che sa tutto. È l’ultima grande prova d’attore di Ennio Fantastichini prima della sua scomparsa nel dicembre del 2018.

L’Hotel degli amori smarriti. Strampalo-commedia sentimentale su commissione. Su commissione e su misura: per Chiara Mastroianni. Maria molla il marito Richard, se ne va di casa e si installa nell’albergo dall’altra parte della strada, con le finestre della sua stanza che sono perfettamente in corrispondenza con quelle del suo appartamento. Salti, capriole, avvitamenti spazio-temporali carpiati la rimettono davanti al marito in età giovanile e a tutta la schiera di suoi fidanzati e amanti. Porte che si aprono e si chiudono, personaggi che entrano uscendo e viceversa, come in una commedia di Feydeau. Diverse nobili citazioni cinematografiche… Ma il senso?

Dolittle. Avventura e commedia con scarsa presa. Tecnica mista attori veri e cartoonizzati. Dolittle è un grande medico, capace di curare anche ogni tipo di animale e parlare con essi. È costretto a scuotersi dal suo abbandono del mondo a causa di una malattia della Regina che può essere curata solo con una sostanza che si trova dentro una inaccessibile caverna all’altro capo del pianeta. Il cast vede star internazionali come Robert Downey Jr, Rami Malek, Marion Cotillard, Antonio Banderas.  Effetti e spettacolari riprese di paesaggi con drone… Ma non acchiappa.

P.S. Torna a farsi sempre più invadente e non giustificata narrativamente la presenza delle sigarette nei film, dopo un lungo periodo di loro scomparsa. È un chiaro product placement, pubblicità indiretta, subdolo invito al consumo di tabacco. Non si vede perché nel prezzo già alto del biglietto lo spettatore debba pagare anche la visione di tale deleteria pubblicità regresso. Proprio come nel film Doppio sospetto, dove sono insopportabilmente molte, troppe le scene immotivate di fumo. Le grandi marche americane del tabacco hanno dovuto risarcire negli anni cifre da capogiro a seguito di numerose sentenze di condanna per le malattie, le morti, le dipendenze causate con sostanze aggiunte alla nicotina in fumatori e anche in attori costretti per contratto a fumare anche fuori della scena. Oggi sono evidentemente tornate a suonare la loro colonna sonora preferita sul loro mezzo privilegiato: il grande schermo cinematografico. Un vizio che si chiama profitto a ogni costo. Fosse anche quello della pelle altrui. Oltre allo sfregio artistico.  

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email