IL MUSEO ABITATO DI METROPOLIZ

silviaNell’area dell’ex salumificio Fiorucci di Via Prenestina a Roma, sorge il MAAM il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz città meticcia, il primo museo abitato del mondo, un centro d’arte contemporanea riconosciuto da tutti come un capolavoro di inclusione e di genio artistico. Partito nel 2009 da una occupazione di una fabbrica dismessa da parte di una decina di nuclei famigliari alla ricerca di una casa, sfrattati, poveri e nullatenenti di varie etnie, grazie alla generosità e al genio di artisti, scultori, pittori di street art, musicisti e performer, grazie alla intuizione di Giorgio De Finis, intellettuale, artista, antropologo e pluripremiato ricercatore, è diventato un centro culturale di grande valore a livello internazionale. La sua genialità è stata quella di trasformare un luogo di vitale importanza per tante famiglie con bambini, altrimenti senza casa, in un luogo d’arte che ha di fatto evitato in più di dieci anni di lotte, sfratti e azioni di sgombero. Le famiglie che vivono all’interno della città meticcia, collaborano nella conduzione del museo, fanno servizio di sicurezza, lo tengono pulito, danno informazioni, cucinano deliziosi piatti etnici che offrono ai visitatori deliziandoli di sapori africani, asiatici, peruviani, colombiani, marocchini, i loro ragazzi parlano un italiano corretto e fluente, nelle loro abitazioni d’emergenza all’interno della struttura occupata, lo mamme sono preoccupate del loro futuro, dato che l’art 5 del Piano Casa, nega a chi vive in spazi occupati, i principali diritti base: quello alla vita, alla salute, alla istruzione e al lavoro. Le persone che abitano nella città meticcia sono a tutti gli effetti dei clandestini agli occhi della legge e di conseguenza non meritano di essere integrati e rispettati, anzi se non ci fosse il Museo a proteggere le loro vite, sarebbero stati da anni sfrattati e buttati in mezzo alla strada.

Ogni sabato è aperto al pubblico ad offerta libera, o alla cifra simbolica di due euro, permettendo a chiunque sia interessato ai fenomeni artistici della nostra città, di visitare un museo originale e straripante di creazioni fantastiche donate dagli streetartists e da tutti gli artisti che hanno voluto contribuire alla fondazione di questo luogo magico, altare di antropologia etnica e patrimonio culturale immateriale in quanto rappresentazione ed espressione delle storie della comunità. Al suo interno, seguendo un percorso immaginario quanto destabilizzante, si possono ammirare quasi settecento opere originali, firmate dagli artisti più quotati in campo internazionale come lo spagnolo Borondo, il writer Diamond, il romano Solo con i suoi supereroi, Mr. Klevra Hogre, Alice Pasquini, Luca Maleonti, Nic, Hitnes e tantissimi altri che hanno contribuito alla fondazione del museo offrendo le loro opere gratuitamente. Immersi in una atmosfera surreale che trasuda morte e violenza gratuita, l’opera di Gonzalo Orqìn e di Pablo Mesa Capella artisti poliedrici, ci ricorda che siamo nell’ex salumificio e nello specifico, nella sala dove i maiali venivano macellati.

Non è possibile non rimanere colpiti di fronte al murales che prende tutta la lunghissima parete con i maiali disegnati appesi a testa in giù tranne gli ultimi tre che si librano nel cielo spiccando un volo liberatorio, in fuga verso la libertà e la non morte. Protesta e magia si intrecciano senza soluzione di continuità, qui si cammina incontrando miti, metafore, provocazioni e luoghi comuni, viaggiando in un mondo fatto di archetipi e di rimandi ancestrali, sbattendo il muso contro temi socio-politici che ci scuotono e ci bruciano dentro, che svegliano la nostra coscienza senza possibilità di fuga: un mondo fantasioso pieno di spunti culturali visionari e al tempo stesso reali e scottanti, come i nuclei familiari che ci abitano. Alcuni gruppi musicali si esibiscono nelle varie aree dedicate, una performance di ballerini, una violoncellista ci delizia con la sua Suite n.1 di Bach nella sala dedicata al Paese dei Balocchi e dipinta interamente per mezzo di una siringa da Danilo Bucchi nel 2014 e ancora monologhi di attori, saltimbanchi, mimi che arricchiscono con le loro esibizioni estemporanee di danza moderna il panorama culturale multietnico offerto dagli organizzatori. Ecco che davanti ad una tale mole di opere di artisti di tutti i generi, non si può che rimanere incantati da tanta creatività, anche se rimane imponente la presenza della street art, con le sue fantastiche e rappresentative tracce di quell’arte che fa del linguaggio per immagini una tra le principali forme di protesta e di lotta alle disuguaglianze. Come non inchinarsi al genio e al coraggio di tutti i protagonisti di questa galleria d’arte, anomala e unica al mondo, un luogo che, un filosofo come J. Derrida riflettendo sul fenomeno dell’ospitalità, definirebbe simbolo di inclusività e giustizia per i più deboli. E se per l’illustre filosofo, “l’ospite è l’altro per eccellenza” allora il Museo dell’Altro e dell’Altrove, potrebbe rappresentare esattamente l’idea di libertà e il luogo per eccellenza dove l’accoglienza esce fuori da ogni logica.

di Silvia Amadio

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