Attilio Manca. Chiusura del processo a Viterbo. Continua a Roma la ricerca di Giustizia.

Esiste un fascicolo aperto, a Roma, presso la procura distrettuale antimafia diretta dal dottor Pignatone, per l’omicidio di Attilio Manca. Esiste, contemporaneamente, a far data dal 29 marzo 2017 una sentenza pronunciata contro Monica Mileti emessa dalla procura di Viterbo con la quale si condanna la stessa a cinque anni e 4 mesi di pena perché si è ritenuto, a Viterbo, rispondere al vero che la donna sia colei che ha fornito la droga ad Attilio Manca, quella droga che ne avrebbe causato il decesso.
Un processo durante il quale, nonostante la richiesta, non si è ritenuto importante ascoltare i parenti di Attilio, ai quali la suddetta cessione di droga al medico, non avrebbe causato alcun danno diretto. Nessun danno salvo la morte del congiunto. Inutile ascoltarli.
Un processo durante il quale non sono stati sentiti nemmeno i collaboratori di giustizia che hanno parlato di un coinvolgimento del giovane urologo nelle cure prestate a Bernardo Provenzano e di una successiva decisione di toglierlo di mezzo. Perché? Perché aveva compreso che il signore Troìa era Provenzano e forse anche chi c’era dietro la latitanza del boss?
Chiuso un processo che ha lasciato tanta amarezza nella famiglia del giovane medico, la ricerca della verità prosegue in un’altra sede.
A Roma, infatti, si cerca di comprendere chi ha ucciso Attilio Manca e cosa lo ha ucciso, visto che troppe sono le discordanze che hanno accompagnato la sua fine. Un urologo bravissimo che si sta facendo passare per un consumatore occasionale di eroina. Un urologo bravissimo che non aveva mai dato segni di dipendenza da droghe. Un mancino che per iniettarsi la dose di eroina ha usato la destra, lui che era un mancino puro. Siringhe senza impronte, che sono state ritrovate richiuse con il cappuccio…ma soprattutto ci sono da ascoltare quei collaboratori che affermano che il giovane è stato ucciso.
Si attende ancora che sia fatta luce sul caso Attilio Manca. Lo attendiamo con tutti i suoi cari.

di Patrizia Vindigni

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