Residente in Via Salone, 323. Trovare lavoro con sul curriculum la via del campo.

Foto ed età sul curriculum? Si può non metterle. Anzi, sono informazioni considerate ormai potenzialmente discriminatorie. Ma l’indirizzo? Se fino a qualche anno fa era assolutamente necessario inserirlo nel proprio CV per poter ricevere tramite posta tradizionale le eventuali risposte alle proprie candidature, con la diffusione della posta elettronica è oggi quasi del tutto superfluo. Superfluo, sì, ma non discriminatorio… giusto? Al limite, potrebbe ridurre le chance di essere selezionati per un posto di lavoro in una città diversa da quella di residenza o all’estero, perché a parità di competenze assumere un lavoratore già in loco è sicuramente più veloce e meno faticoso. Ma se abiti in un campo rom, le cose cambiano. Anzi, è tutta un’altra storia.

F., ragazzo 22enne di etnia rom, oggi vive da un paio d’anni in una casa popolare con i genitori e i due fratelli, ma prima viveva nel campo nomadi di via Salone, a Roma, da dove si è per la prima volte affacciato al mondo del lavoro. Raggiunta l’età legale per interrompere gli studi, F. decide di voler contribuire economicamente al benessere familiare e comincia a cercare lavoro. Con l’aiuto di un’operatrice sociale presente nel campo, F. redige il proprio curriculum, cerca e spulcia offerte di lavoro e poi comincia a candidarsi. Manda diverse candidature, ma non ottiene alcun colloquio. Poco male, sarà perché non ho esperienza, si dice F.. Decide quindi di alzare la cornetta e chiamare direttamente, per dimostrare il proprio interessamento e grinta, ma telefonata dopo telefonata, il numero dei colloqui è sempre zero.
Fin quando a lui e all’operatrice che lo sta affiancando non sorge un dubbio…e se fosse l’indirizzo di residenza a escluderlo dalla corsa? Dopo tutto, via Salone, 323 è un indirizzo conosciuto a Roma, lo sanno tutti che lì c’è un campo. Sembra strano, però, che l’indirizzo da solo possa fare la differenza. Perciò per verificare i propri dubbi F. modifica il curriculum ed inserisce una via diversa da quella del campo, anche se pur sempre nelle immediate vicinanze. Poi, comincia ad inviare. Ed ecco che le richieste di colloquio si materializzano. Più d’una. E’ evidente come non sia la scarsa esperienza o le competenze ancora poco sviluppate a penalizzare F., ma come sia semplicemente il suo indirizzo di casa ad escluderlo. Lui dalla corsa è fuori a priori. Non partecipa affatto.

F. però a quei colloqui non si è mai presentato. Non intendeva negare chi fosse, non aveva alcuna intenzione di nascondere dove vivesse, di dover stare a spiegare perché nel curriculum aveva scritto un indirizzo, quando sui documenti ne figurava un altro,
Oggi F. lavora. Supportato e spinto a mettersi in gioco, quando era ancora al campo ha fatto un anno di servizio civile, ha poi frequentato un corso per attivista dei diritti umani, ed oggi è beneficia di una borsa di lavoro presso un’associazione che si batte per i diritti della popolazione di etnia rom in Italia.
Oggi F. vive in una casa. Ha attraversato personalmente l’abisso che separa il campo da un’abitazione standard. La sua qualità della vita è migliorata sensibilmente. Non ha solo più privacy per se stesso e per la propria famiglia e la possibilità di godere di maggiore igiene, non beneficia solamente di una maggiore integrazione all’interno del tessuto urbano. Si è anche liberato dalle discriminazioni più subdole e striscianti, come quella derivante dalla propria residenza.
“Certo che non ti chiamano, lo sanno che quella è la via del campo!”

di Giulia Montefiore

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