Qualcosa su cui riflettere, dopo il XIX° congresso del partito comunista cinese

Si è concluso il 24 ottobre, una settimana fa, il XIX° congresso del partito comunista cinese, che si è svolto a Pechino, nella grande Sala del Popolo di Pechino (nei pressi della piazza Tienanmen) con uno scenario impostato su una imponente insegna di falce e martello.

La lettura che ne è stata data, dalle parti nostre, è riassumibile nelle indicazioni che in Cina nulla è cambiato, che la sua economia è stata solo marginalmente toccata dalla crisi economica mondiale e che è confermata la leadership assoluta di Xi Jinping (senza indicazione su possibili successori e con una generazione di sessantenni nei gangli fondamentali dello Stato).

In Italia poi l’interesse dei rapporti della Cina con il resto del mondo è sembrato riguardare solo i tifosi delle squadre di calcio milanesi. Con l’ubriacatura di essere in un terzo millennio post ideologico in cui sinistra e destra sono vecchiume e pensando ancora all’Italia, all’Europa e al mondo occidentale come memoria, fondamento e prospettiva della cultura e dell’economia mondiale, la Cina è considerata un pericolo, ma marginale, un concorrente di mercato da fronteggiare con dogane.

Non è così, non sarà più così. La Cina, dopo essere stata umiliata nei due secoli passati dalle potenze occidentali, rivendica il suo risorgimento.

Non sarà più il mercato dell’oppio, non sarà più l’economia di basso mercato, non sarà più l’imitazione dell’occidente.

La Cina rivendica per sé il ruolo di prima nazione nel modo.

Con decisione, con lucidità, con ambizione, negli statuti del Partito, accanto ai principi di Mao Tsetung e di Ten Xiaoping, saranno inseriti i quattro caratteri del pensiero di Xi Jinping, una “guida all’azione”, come lui stesso li ha definiti.

-Sarà rivendicata la antichissima civiltà delle origini (Confucio era del 4° secolo a.C.!!) e si procederà verso i due centenari di nascita della nuova Nazione: nel 2021 quello del Partito Comunista Cinese, nel 2049 quello della Repubblica Popolare.

-Saranno precisati gli obbiettivi da raggiungere insieme: una società moderatamente prospera, un approfondimento delle riforme, la garanzia di uno Stato di Diritto, la guida severa del Partito.

-Sarà delineata la fiducia in se stessi, a rifiutare le suggestioni di modelli economici e politici occidentali, a credere nelle teorie, nei sistemi, nella cultura del socialismo cinese.

-Saranno presenti le grandi sfide, i grandi progetti, le grandi cause, i grandi sogni da realizzare. E cioè un nuovo modello di relazioni su scala mondiale, non più sotto l’egemonia del “First America” e senza sudditanze.

Con queste posizioni di principio Xi Jinping si è presentato al congresso, consapevole dei passi avanti compiuti e dei risultati realizzati dal sistema cinese, che negli ultimi venti anni, mentre il mondo occidentale era sconvolto dalla crisi economica, ha portato fuori dalla miseria ed inserito nella classe media 250 milioni di persone.

Duecentocinquanta milioni di persone, in grado di stravolgere gli equilibri mondiali del mercato, se considerati non in competizione, ma in sinergia.

Ce lo ricordò il saggio Prodi, che parlando della scarsa offerta del mondo dell’accoglienza italiano, disse che nel 2020 almeno 200 milioni di cinesi sarebbero venuti in vacanza in Europa.

E il leader cinese, nel Suo congresso, ha presentato le Sue linee programmatiche per i prossimi 5 anni, attraverso 14 punti funzionali agli sforzi per sostenere e sviluppare il paese e insieme il socialismo, con specifiche caratteristiche cinesi.

Nei punti, ci sono elementi più direttamente interni (come il ruolo fondamentale del partito sul mondo del lavoro e per sostenere i valori socialisti fondamentali, e soprattutto la garanzia che ogni dimensione della azione di governo sia legale, con una intransigente lotta alla corruzione).

Ma alcuni di essi hanno una dimensione più ampia, internazionale.

Come l’impegno per un approccio orientato ai popoli.

Come la garanzia di un rapporto armonico tra l’uomo e la natura.

Come la promozione per l’umanità di una comunità con un futuro comune.

Dovremmo riflettere, noi della vecchia Europa che non vogliamo capire il declino che ci attende, che viviamo ridicoli regionalismi, che siamo preoccupati per una crescente presenza dell’Islam, che non accettiamo migranti di cui avremo sempre più bisogno.

Dovrebbero riflettere, loro negli Usa, 300 milioni di persone che vivono col culto delle armi, che eleggono un presidente protezionista che costruisce muri e richiama in servizio quadrimotori con bombe nucleari.

Dovremmo pensare, pensare tutti, che forse un altro mondo è possibile.

Non forse ancora un mondo che ha per fondamento l’amore, come ci ricorda papa Francesco (quale esercito, quante divisioni ha il Vaticano? chiese una volta Stalin).

Ma forse, almeno, un mondo in cui un popolo di un miliardo e trecento milioni di persone, con un partito comunista (cinese) di novanta milioni di persone, pensa nel suo programma quinquennale ad un mondo diverso, più a misura d’uomo.

Con un approccio orientato ai popoli.

Con la garanzia di un rapporto armonico tra l’uomo e la natura.

Con una promozione per l’umanità di una comunità con un futuro comune.

di Carlo Faloci

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