La mafia sentitamente ringrazia

La Sicilia è una delle terre più belle del mondo. Non esagero e, soprattutto, non sono siciliano. Fatto sta che tutte le volte che ci sono andato, mi ha conquistato. La vista delle lave dell’Etna incandescenti sotto la neve, il bosco di agrifogli delle Madonie, il suo mare vivo e palpitante (per citare solo alcune delle sue molte bellezze), non hanno davvero uguali. E l’uomo l’ha segnata con le sue opere, dai misteriosi giganti di Argimusco al capolavoro liberty di Villa Florio, passando per la classicità greca, il medioevo arabo-normanno ed un barocco superbo, impreziosito dalle fantasmagorie del Serpotta. È davvero una gemma incastonata nel mare, che non si è accontentata di lasciarsi ammirare, ma ha contribuito alla cultura del mondo con il suo ingegno, dai poeti siciliani dell’epoca federiciana, alla spontanea poesia popolare dei Pupi; dal sofferente verismo di Verga alla modernità inquieta di Pirandello; dalla raffinata poesia di Quasimodo alla prosa impegnata di Sciascia, per finire – perché no? – ai divertenti intrecci di Camilleri. Ed ha contribuito alla costruzione della nostra società civile con gli eroi che hanno preferito morire, piuttosto che chinare la testa al potere mafioso, dimostrando quanto possa essere vivo in quella terra il senso della giustizia e dello stato.

Sarebbe quasi un paradiso, se non ci fosse qualche problema, altrettanto importante degli aspetti positivi. Giustappunto la mafia: una sorta di cancro, così difficile da curare e così veloce a dare metastasi. Vero è che tutta l’Italia ha a che fare con molte mafie, dal nord al sud, nessuno ne è davvero al riparo. Ma qui il problema è più pressante, perché si intreccia non soltanto con l’economia, ma anche e soprattutto con la politica. In questi ultimi decenni, molti processi hanno indagato la cosiddetta “collusione” tra mafia e politica (siciliana o nazionale). Ma il cosiddetto “appoggio esterno” non rappresenta il cuore del problema, che è, piuttosto, costituito dalla perfetta integrazione tra mafia e politica, che è stata sotto gli occhi di tutti in un passato non lontano ed oggi continua, seppure con diversa evidenza: ma, oggi come allora, del tutto ignorata dalla politica che conta. Come dimenticare, infatti, la figura di Vito Ciancimino, prima assessore e poi sindaco di Palermo, regolarmente iscritto alla Democrazia Cristiana, militante prima nella corrente fanfaniana e poi in quella andreottiana: cioè politicamente vicino a due tra i più importanti “cavalli di razza” della politica italiana. Come dimenticare che il suo legame con la DC nacque lavorando presso la segreteria di Bernardo Mattarella, allora sottosegretario e deputato, che pure ebbe un figlio, Piersanti, ucciso dalla mafia ed un altro, Sergio, oggi Presidente della Repubblica. Come dimenticare l’intreccio Dell’Utri-Mangano-Berlusconi?

Sono solo degli esempi tra i tanti, sanciti o meno da sentenze giurisdizionali. Ma a partire dalla strage di Portella della Ginestra, mafia e politica siciliana – e, ovviamente, italiana – sono interconnesse: ce lo dice la storia, molto più della cronaca giudiziaria. Per questo, non “bisogna convivere con la mafia”, come ebbe a dire l’ex (per fortuna) ministro Lunardi; bisogna piuttosto liberarsi della mafia con cui, purtroppo, da troppo tempo conviviamo. E se la lotta giudiziaria contro la mafia ha avuto indubbi successi, la lotta politica alla mafia è davvero poco incisiva. Perché i mafiosi esistono, votano; ed hanno parenti, amici, complici e tirapiedi che votano. Portano “pacchetti” di voti che possono far vincere o perdere: tanto più importanti, quanto più alto è l’astensionismo elettorale. Perché loro, i mafiosi, a votare ci vanno sempre.

Ecco perché le elezioni siciliane sono così importanti.

Ecco perché, in un contesto come quello siciliano, i cosiddetti “impresentabili” sono un fenomeno ancor più grave che nel resto d’Italia. Non sono un fatto marginale, sono un messaggio politico devastante, che dice: non ce ne importa niente di selezionare persone di buona reputazione. Basta che portino voti.

Ecco perché un partito politico importante come il PD non può permettersi di non essere presente con i suoi massimi esponenti nella campagna elettorale.

Quella schiacciante maggioranza silenziosa (circa il 64%) di elettori siciliani che non è andata a votare, sembra aver fatto proprio il paradossale aforisma di Mark Twain: “Se votare facesse qualche differenza, non ce lo farebbero fare”. Eppure, si sa, votare fa la differenza: ma, a quanto pare, ci si scoraggia, quando i partiti più importanti per storia e ruolo politico non sono riconosciuti come rappresentativi dai due terzi degli elettori. D’altronde, sembra proprio che i partiti siano indifferenti al problema, e lo dimostrano con un linguaggio più forte delle parole: la composizione delle liste, la frammentazione degli schieramenti, il trasformismo (si va dove si pensa di vincere: gli avversari di ieri sono gli alleati di oggi), il disinteresse delle segreterie nazionali. In un contesto difficile come quello siciliano, anche se si prevede di non vincere le elezioni, si deve fare campagna elettorale (metterci la faccia, come è di moda dire), per dimostrare che la Sicilia è importante, e che la politica si occupa anche e sempre di lotta alla mafia: i candidati fanno politica anche quando non vincono le elezioni. Un segretario politico come Renzi, se preferisce defilarsi, piuttosto che associare la sua immagine a una sconfitta elettorale, dimostra che questo tema non è nella sua agenda di lavoro. Un leader politico come Berlusconi, quando va a fare campagna per gli “impresentabili”, anche se vince dimostra la stessa cosa. E questi non sono che due esempi tra i tanti.

Intanto, il vincitore festeggia, dichiarando che vigilerà sul comportamento degli “impresentabili”; ma senza dirci come, avendo peraltro dimostrato che a vigilare non è per niente bravo; ed avendo dichiarato che, dopotutto, non è che lui conti molto: la lista è stata scritta da altri, forse a sua insaputa. E dimenticando che non ha nessuna maggioranza: per lui ha votato soltanto il 14,8% dell’elettorato siciliano: a questa miseria corrisponde quel glorioso 39,80% dei voti; purtroppo, nessun sondaggio demoscopico sarà mai in grado di dirci quanto incide il voto di mafia su quella esigua percentuale. Non che tutti quei voti siano mafiosi, ovviamente: non voglio generalizzare né essere offensivo, come fa Berlusconi: “chi vota per il M5S è una persona che non ragiona, che non ha testa”; che fa da contraltare al famoso “chi vota a sinistra è un coglione”.

Ma la mafia c’è, e vota: e quei voti non si riconoscono, ma contano lo stesso.

Ancora una volta, il vuoto di onestà e di buon senso lasciato dalla politica viene occupato dalla magistratura, che ha arrestato il primo degli “impresentabili”. Ma non è così che se ne esce: finché la politica dorme, sarà difficile che si verifichi – come si verificherà: è questione di tempo – la predizione di Giovanni Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un suo principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”.

Nell’attesa, la mafia sentitamente ringrazia, alla faccia della Sicilia della bellezza, della cultura, dell’onestà.

di Cesare Pirozzi

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