La blacklist europea non ridurrà la disuguaglianza globale

Nel suo discorso alle Nazioni Unite a Ginevra, Jeremy Corbyn, il leader laburista britannico, ha parlato di un livello “grottesco” di disuguaglianza e di evasione fiscale. Le sue parole fanno perno sulle recenti rivelazioni dei Paradise Papers. L’imponente massa di documenti sugli investimenti offshore hanno di fatto accelerato la decisione dell’Ecofin di dotarsi di una blacklist di paradisi fiscali.

É la prima volta che l’Unione approva una propria lista nera, ma ciò non basta ad evitare le critiche. In particolare, Oxfam ne denuncia la poca credibilità ed efficacia. A finire nella blacklist sono 17 paesi contro i 35 proposti dall’organizzazione no-profit. Tra le giurisdizioni escluse dall’elenco figurano paesi come la Svizzera, Hong Kong e i territori della Corona Britannica: Jersey, Bermuda, Isole Cayman e Isole Vergini. Sono assenze ingiustificate visto il ruolo documentato di questi paesi. Il rischio è che tra i criteri di esclusione possa esserci anche il peso politico esercitato dal paese. In effetti, la valutazione non riguarda i paesi dell’Unione Europea. Oxfam arriva alla conclusione che, tra questi ultimi, ben quattro dovrebbero entrare nella blacklist: Paesi Bassi, Malta, Irlanda e Lussemburgo.

I paradisi fiscali rappresentano una delle cause che alimentano la crescita delle disuguaglianze. I miliardi di dollari che le multinazionali riescono ad eludere non vanno a danneggiare solo i paesi europei. In questi flussi di denaro che sfuggono alla tassazione rientrano anche i proventi originati nei paesi in via di sviluppo. In questo modo si allarga la forbice con i paesi più ricchi. Infatti, come testimonia il Global Wealth Report dell’istituto di ricerca di Credit Suisse, la ricchezza mondiale è tornata a crescere superando anche i livelli pre-crisi, ma queste risorse si distribuiscono in maniera iniqua. A beneficiarne è solo l’1% più ricco del pianeta che arriva a detenere il 50,1% della ricchezza mondiale. Così i paesi poveri restano poveri e, in quelli ricchi si crea una spaccatura sempre più netta tra l’elite e il resto della società.

Si inserisce perfettamente in questo quadro la decisione dell’amministrazione Trump di tagliare le tasse sull’eredità, che colpivano solo circa 5.500 proprietà. Queste tasse rendevano circa 20 miliardi di dollari. Più che sufficienti per coprire il costo, di circa 14 miliardi, del programma di cure sanitarie per i bambini meno ricchi. Un programma che i repubblicani non hanno ancora rifinanziato per mancanza di risorse.
È il segno di una tendenza globale che mina le basi dell’equilibrio sociale. Una tendenza per invertire la quale non basteranno soluzioni sbiadite come quelle proposte dall’Ue.
di Pierfrancesco Zinilli

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