Chi dà scacco al Presidente?

Ci si è chiesti se l’ex Presidente della Repubblica Napolitano – detto Re Giorgio– avrebbe gestito la crisi seguita alle elezioni dello scorso 4 marzo con gli stessi esiti, tanto altalenanti quanto drammatici, che stanno martoriando il suo successore Sergio Mattarella. Il paragone non sarebbe però appropriato. Per la prima volta nella storia della Repubblica Italiana un suo Presidente si trova di fronte a un mutamento epocale di paradigma. La cosiddetta Seconda Repubblica– quella nata dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine dell’Urss – è rimasta pur sempre ancorata alle modalità istituzionali della Prima, anche nelle novità e nelle alte conflittualità rappresentate da Berlusconi, Bossi e dalla nascita – con lo sdoganamentodel Msi – di Alleanza Nazionale, sotto la guida dell’ex fascista Fini, divenuto poi Presidente della Camera. Soprattutto ai vertici politici più delicati dello Stato. Napolitano – pur corazzato da una lunga esperienza maturata alla guida delle più alte cariche di partito e istituzionali – ha avuto sempre a che fare con forze e leader che riconoscevano e rispettavano questo alto galateo istituzionale, tanto che quasi all’unanimità gli è stato chiesto – persino da molti suoi accaniti avversari – di rimanere ancora in carica alla scadenza del suo mandato. Principi, prassi, regole, procedure, convenzioni comuni a quell’intero spazio epocale, politico e giuridico chiamato Europa. E che proprio alla prima forma di unità europea hanno dato vita dopo il crollo dell’Urss. Sergio Mattarella appartiene completamente a questo grande campo storico-politico. Professore di diritto parlamentare, giudice della Corte Costituzionale, politico di lungo corso nell’area cattolica progressista (con un fratello ammazzato dalla mafia), l’attuale Presidente della Repubblica è un delle personificazioni più alte di questo spazio della tradizione politico-democratica italiana ed europea.

Il Movimento 5 Stelle e la nuovaLega guidata da Matteo Salvini (non quella tramontata di Bossi) sono invece qualcosa che esce ormai completamente fuori dal vecchio quadro di riferimento epocale e politico. Se a qualcosa di omogeneamente europeo essi appartengono è solo alla frantumazione del giovane sogno, o dell’illusione unitaria europeista, non al complesso di convenzioni istituzionali-amministrative che lo hanno formato e lo alimentano. Essi sono però figli di una frattura molto di fondo che percorre tutto il sottosuolo continentale. L’intero sontuoso tessuto della grande tradizione europea è superato, lacerato innanzitutto dalla extra continentalità di procedure tecno-economiche e turbo-finanziarie che possono e, anzi, vogliono fare a meno proprio di quella tanto gloriosa quanto obsoleta tradizione, altamente rappresentata proprio da nobili e terse figure alla Sergio Mattarella. L’attuale scontro ai vertici istituzionali italiani è determinato non tanto da intemperanze, incompetenze politico-caratteriali dell’uno o dell’altro protagonista in gioco, quanto proprio da questa tensione più strutturale. La vecchia classe della tradizione politica-democratica della prima e seconda repubblica italiana è ormai percepita e considerata come inservibile, corrotta, incapace di far fronte a una crisi che da oltre i confini nazionali tracima e si abbatte sugli assetti interni. Non è dunque tanto uno scontro su regoledi superficie quanto una tensione tellurica sotterranea. Sotto le regole ci sono sempre gli uomini, i gruppi, la nudità delle loro impellenze, necessità, volontà, desideri, contrasti, spinte. Alla fine sono sempre queste a scaricarsi sul conflitto e a contare, non tanto le interpretazionidotte o interessate del diritto costituzionale. La risultante di tutte queste tendenze oppositive dà luogo a una sorta di legge generale della necessità che determina implacabilmente mosse, sospetti, sviste, scelte, passi falsi, errori delle componenti in gioco. Anankela chiamavano i greci antichi e sapevano con quanta potenza potesse venire a costituirsi come una tragica forza inaggirabile. Più che domandarci se Mattarella o altri abbiano sbagliato, dovremmo domandarci: poteva fare davvero in maniera diversa, o la situazione lo costringeva a quella scelta considerata unmale minore? Inoltre – come scrive il grande logico e filosofo Ludwig Wittgenstein – nessuna regola è in grado di prescrivere come essa deve essere applicata proprio nei momenti più critici, convulsi e anche drammatici. Il confronto-scontro tra i più autorevoli costituzionalisti italiani dà un risultato pressoché pari: tot pro Mattarella, tot contro.

L’urto contro l’attuale Presidente della Repubblica è la spinta contro un’intera classe e un intero spazio politico continentale. Significa la loro completa abolizione, soppressione. Un urto ruvido, sfrontato che viene dal sottosuolo e non dalla superficie esterna delle regole. E comunque nessuno si lascia scalzare, abrogare solo sulla scorta di un’interpretazione, di un’ermeneutica costituzionale. Tanto più che chi spinge per scalzare lo fa spinto a sua volta da due forme di illusione allarmanti. Una – quella sovranista – di poter rinserrare un spazio neo nazionale per contrapporlo a quello tecno-globale planetario, con l’uscita dall’Europa e un’alleanza con i suoi regimi interni più autoritari. La seconda – quella dei suoi alleati 5S – di una rivoluzione “senza violenza” (precisa Beppe Grillo) verso un futuro governato da scienza e tecnologia, che però non mette in discussione la violenza contro gli uomini e il pianeta che proprio quei regimi autoritari europei ed extra europei vogliono continuare ad essere sempre più liberi di esercitare e per questo puntano solo a dare scacco matto a ogni regola costituzionale che lo impedisca o anche solo lo limiti.

In qualsiasi modo questa crisi istituzionale alla fine si ricomporrà, lo sarà sollo in modo precario, perché gli elementi del contrasto rimangono ancora tutti innestati e pronti di nuovo ad deflagrare apertamente.

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email