Parole ostili. C’è poco di virtuoso nel lessico virtuale

All’inizio degli anni 70 l’insegnante Giulia Notari, della scuola per l’infanzia Diana di Reggio Emilia, chiede se qualche bambino si sente di inventare una storia partire dalla parola ‘ciao’. Un bambino di cinque anni racconta:

‘Un bimbo aveva perso tutte le parole buone e gli erano rimaste quelle brutte. Allora sua mamma lo porta da un dottore, che ha i baffi lunghi così, e gli dice: – Apri la bocca, fuori la lingua, guarda in su, guarda in dentro, gonfia le guance. Il dottore dice che deve andare a cercare in giro una parola buona. Prima trova una parola così (il bambino indica la lunghezza di circa venti centimetri) che era arrangiati, che è cattiva. Poi trova una parolina rosa, che era ciao, se la mette in tasca, la porta a casa e impara a dire le parole gentili e diventa buono’.

Il suggerimento della parola ‘ciao’ ha dato luogo immediatamente, sull’ asse della selezione, alla costruzione di due classi di parole: le parole “buone” e le parole “ brutte”. La parola “arrangiati” non è considerata dal bambino brutta in relazione a un modello repressivo, non è una parolaccia sconveniente. “Arrangiati” è una parola brutta perché allontana, offende gli altri, non aiuta a farsi degli amici, a stare in gruppo, a giocare insieme. Non è l’opposto di una parola astrattamente buona, ma di parole giuste, gentili.

“Le parole hanno un potere grande: definiscono il pensiero, trasmettono conoscenza, aiutano a cooperare, costruiscono visioni, incantano, guariscono e fanno innamorare. Ma le parole possono anche ferire, offendere, calunniare, ingannare, distruggere, emarginare, negando con questo l’umanità stessa di chi parla.

A mezzo secolo di distanza dal racconto del bambino della scuola Diana, la scelta delle parole diventa fondamentale soprattutto nel mondo della rete, la piazza delle piazze, il luogo virtuale più frequentato al mondo. Lo spazio digitale, che sembra non appartenere a nessuno, è uno spazio di cui tutti invece siamo responsabili: è sul web che oggi si formano le coscienze, gli umori, gli amori, i movimenti politici, è in rete che i ragazzi scrivono il loro romanzo di formazione. Se, nella comunicazione tra i più giovani, il discorso di odio è considerato lecito, le conseguenze possono rivelarsi imprevedibili, soprattutto per i soggetti fragili. Più cresce il numero dei frequentatori del mondo del web, più il mondo del web sembra diventare tossico, difficile, violento. Se da un lato chiunque dietro il monitor è meno attento al male che le parole possono fare, dall’altro la crescente ostilità espressa nel web ha conseguenze concrete e permanenti nella vita delle persone.

Ad arginare la deriva feroce che ha preso il mondo della comunicazione digitale, e con esso le relazioni tra le persone, è nato nel 2016 “Parole O_Stili, un progetto contro la violenza delle parole. Il “Manifesto della comunicazione non ostile”, già adottato dal MIUR nelle scuole italiane, è una carta scritta e sottoscritta da oltre 300 comunicatori, blogger e influencer, che raccoglie 10 princìpi di stile per ridurre e contrastare i linguaggi negativi che si propagano facilmente in rete.

Virtuale è reale, si dice nel Manifesto, ovvero vanno dette e scritte in rete solo cose che si ha il coraggio di dire di persona; ognuno di noi è ciò che comunica: le parole che si scelgono raccontano chi siamo, ci rappresentano; le parole danno forma al pensiero, servono quindi tempo e cura per esprimere al meglio quello che si vuole dire;prima di parlare bisogna ascoltare, perché nessuno ha ragione sempre e l’ascolto è figlio dell’onestà e dell’apertura; le parole sono un ponte, servono a creare comunità; le parole hanno conseguenze, proprio come le azioni; condividere in rete testi e immagini è una responsabilità: si condividono quindi solo dopo averli letti, pesati, capiti; le idee si possono discutere, ma le persone si devono rispettare(la differenza di opinioni non può generare guerre e nemici); gli insulti non possono essere considerati argomenti,pertanto non vanno accettati. Infine, anche il silenzio comunica. Un bel tacer non fu mai scritto. Quando la scelta migliore è tacere, anche in rete si tace.

di Daniela Baroncini

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