#iostoconicurdi… Ne sei proprio sicuro?

Mentre su Twitter impazza l’hashtag #iostoconicurdi, su Facebook si propaga l’onda di indignazione verso l’operato di Erdogan e le ridicole parole di Trump che ha accusato i curdi nientepopodimeno che di aver negato il loro apporto agli Alleati durante la seconda guerra mondiale. A rincarare la dose provvedono i nostri politici, Di Maio e Conte in testa, che condannano aspramente i massacri ordinati dalla Turchia e intimano all’Europa di smettere di vendere armi alla Turchia. All’Europa.

Prima di chiedere di far qualcosa agli altri, dovremmo chiederci cosa possiamo fare noi, come popolo e come cittadini.

Come popolo, Di Maio e Conte (insieme a tutti gli altri, ovviamente) potrebbero banalmente prendere atto che l’Italia fa parte dell’Europa e che, guarda il caso, è proprio nella lista di paesi che vendono armi alla Turchia. Quei piccoli curdi feriti che ci sono nelle vostre bacheche, verosimilmente sono stati colpiti con armi made in Italy. C’è di peggio, come svela linkiesta.itin questo momento l’Italia è impegnata nell’Operazione Active Fencee schiera “un contingente di centotrenta uomini, una batteria di missili terra aria Aster SAMP/T e alcuni veicoli logistici proprio al confine tra la Turchia e la Siria, ma attenzione: a difesa dello spazio aereo turco, cioè a protezione di chi sta sistematicamente uccidendo i curdi.”

Comico, vero? I nostri leader si strappano le vesti in difesa del popolo curdo mentre, nel frattempo, i nostri soldati danno manforte a chi li sta trucidando.

Aggiungo di più, esiste una lista di aziende italiane che hanno sedi sparse in Turchia, una di queste è l’Alitalia che, lo ricordo, è finanziata con i soldi dello Stato. Che aspettano i nostri politici a interrompere la vendita delle nostre armi, ritirare i nostri contingenti e far chiudere (laddove possibile) le sedi delle nostre aziende?

Questo ci riporta alla seconda parte della questione, cosa stiamo facendo noi per il popolo curdo? Un recente studio ha dimostrato che i post su Facebook e Twitter, pur sollevando la coscienza di chi li condivide, non aiutano di una beata ceppa le cause che sostengono. Chi lo avrebbe detto, eh?

Cosa possiamo fare, dunque? Sicuramente non possiamo arruolarci nell’esercito curdo, è evidente. Ma possiamo utilizzare un’arma micidiale che abbiamo sempre con noi è che è molto più persuasiva di un bazooka: il portafoglio. Su  https://vivistanbul.com/aziende-italiane-in-turchia/è possibile leggere una lista di aziende italiane che hanno sedi in Turchia, tra queste ci sono Chicco, Barilla, Indesit, Piaggio, Luxottica, Perfetti, Bialetti, Merloni e Iveco. Da sempre boicottare le aziende sui loro prodotti le ha rese molto sensibili ai temi sociali, basti ricordare i casi di McDonald’s, Nestlè e Disney, prese di mira dagli attivisti e costrette più di una volta a scelte forzate per recuperare la facciata sociale. Tutti i prodotti che acquistiamo sono dotati di un codice a barre, la Turchia ha un suo identificativo: il numero 869 all’inizio del barcode indica univocamente che quel bene è stato prodotto nel paese colpevole dell’eccidio dei curdi. Volete far qualcosa di utile? Smettetela di impestare i social di stupidate e perdete qualche minuto della vostra giornata a fare una spesa intelligente.

di Marco Camillieri

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