L’oltre civiltà dopo l’8 marzo

Non c’è confine tra materia e spirito. Anche il più amorfo dei sassi è – nella sua struttura e composizione – un concentrato di spirito, ossia di intelligenza matematica, chimica, fisica, esprimibile in complesse formule e proporzioni algebriche. E anche ogni singolo elemento che lo compone sottintende un’ancora più complessa stratificazione molecolare, atomica, sub particellare, sub orbitale, che affonda nell’infinitamente piccolo e perciò nell’infinitamente universale. La materia è la faccia visibile, tangibile, dicibile, pensabile della molteplicità spirituale. Considerata in sé stessa essa non potrebbe neanche darsi. Le cose materiali sono concrezioni spirituali. Come la materialità fonetica o grafica di una parola è segno fisicamente percepibile dei concetti anche più astratti, così allo spirito, per apparire alla coscienza, è necessario un significante, ossia un risuonante materico, qualcosa che sia fisicamente percepibile dai sensi e dalla coscienza.

Di quale assetto spirituale è segno, concrezione materiale la sopraffazione del maschile sul femminile? Lo stato d’eccezione pandemico ha segnato una regressione devastante in termini di disoccupazione, discriminazione, esclusione, violenza domestica, femminicidio. Le cifre – per ognuna di queste voci – sono raccapriccianti. La formalità delle leggi scritte, infatti, mette a nudo, proprio nei periodi di più acuta crisi, lo strato nascosto su cui esse materialmente poggiano. E quando i codici legislativi di superficie non riescono più a governare bene i fenomeni sociali, sono quelli di sotterra a riemergere e prevalere. Così come in guerra vigono sterminio, eccidio, saccheggio, razzia, ratto, stupro di massa. Le leggi della forza, della violenza, della sopraffazione fisica e morale sono il sottosuolo soggiacente, incombente, da coniugare sempre al presente come un’origine permanentemente in atto. E qual è la sede fisica di tale sottosuolo e della sovrastante superfice che lo nasconde? È lo stesso corpo umano. Esso è insieme il Palazzo di Giustizia e i suoi sotterranei ciechi, inespugnabili, perché intangibili. Volontà, volizione e violenza costituiscono una sfera unica, senza cesure, se non quelle del passaggio graduale dal buio, all’ombra, alla luce. Il corpo è la concrezione fisica, biologica e psichica di tale sfera, perché questa ha necessità di scaturire in un’azione materiale. A sua volta, per manifestarsi, l’azione ha bisogno tanto di un mezzo, di un corpo fisico, quanto di una intelligenza intrinseca a esso che la diriga verso lo scopo da conseguire. Non si dà volontà senza corpo e io, come non si danno questi senza una volontà da concretare in forma di azione. L’io è nell’azione, come l’azione è nell’io.

L’azione è sia quella di un io come corpo fisico su un altro corpo fisico, sia quella di un io su altro io anche come corpo fisico. Azione per condurre, ridurre, modificare, alterare altri corpi e altri io agli scopi della propria volontà o volizione. E tale riduzione nei confronti di un altro corpo e di un altro io non si può conseguire se non applicando una forza, ossia una vis, una violenza. E che la pretesa di assoggettamento alla propria volontà si eserciti nei confronti di un io biopsichico o di una mera materia detta inerte, cambia poco, essendo anche questa – come mostravamo all’inizio – una stratificazione di intelligenza e spirito. E questa prima cellula di volontà di potenza e violenza si costituisce materialmente in famiglia, città, stato, storia, civiltà millenaria intera.

La violenza, il dominio patriarcale, in ogni aspetto della civiltà, non è dunque che il versante materiale dello spirito fondato sulla volontà dell’io, perché questo ammette un’unica necessità logica assoluta: quella che ci sia una forza cui – in quanto tale – corrisponde una debolezza che soccombe e si sottomette a essa. Sottomessa con la legge di superfice scritta, lacerata, violata, violentata per strada o tra le pareti di casa. O direttamente con quella del sottosuolo umano, da cui scaturisce la codificazione e la reale prassi sovrastante. Per questo il giorno dopo l’8 marzo non può che essere la visione del passaggio verso la giustizia esistenziale, ossia verso l’oltre civiltà.

di Riccardo Tavani

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