E’ morto Tilo Sánchez, il prete guerrigliero sempre attento ai diritti umani

Nella notte di sabato 4 settembre, è scomparso a 77 anni Rutilo Sánchez, prete che aveva esercitato il sacerdozio fra i combattenti salvadoregni del Fronte di Liberazione Nazionale. Sempre attento ai diritti umani era stato anche per questo direttore della Caritas.

Per le comunità cristiane di base salvadoregne, la scomparsa del sacerdote ed ex guerrigliero Rutilio Sánchez è stata un colpo durissimo. Vero “prete fatto popolo”, al cui servizio si è svolta la sua intera, avventurosa traiettoria di vita, Tilo, come lo chiamavano tutti, scelse durante la guerra di esercitare il ministero sacerdotale al fronte, in un’area controllata del Fronte Farabundo Martì di Liberazione Nazionale, pienamente convinto che «la giustizia e la fedeltà» fossero lì dove si trovavano «i combattenti del Fmln». 

Scrisse all’allora arcivescovo Arturo Rivera y Damas, per comunicargli la sua decisione, dicendo: «Vado a cercare la pecora ferita che si è persa sulla montagna. Intendo solo prendere la croce e seguire Gesù nei burroni, sulle colline, nelle trincee dove si vivono le beatitudini alla lettera e in spirito, creando le basi del Regno di Dio, un mondo in cui ci sia pane per tutti».

Dopo meno di un anno, avrebbe scritto sul suo diario: «La vita qui è in grande: grande tristezza, grande gioia, grandi invasioni militari e grande fame. Ma siamo accompagnati da grandi eroi che difendono le nostre comunità».

L’esperienza al fronte era stata per Tilo, però, solo una logica conseguenza del suo impegno rivoluzionario. Fu, secondo le sue stesse parole, «dirigente non ufficiale» delle Forze popolari di liberazione – poi confluite nel Fmln – già al momento della loro fondazione. «Un giuramento – aveva poi raccontato – a me non lo chiesero mai, perché ero stato chiaro nel dire che mi sentivo, al tempo stesso, un rivoluzionario e un sacerdote». 

E, a sorpresa, era stato proprio a quel prete considerato sovversivo, sfuggito a innumerevoli attentati, che l’arcivescovo Oscar Romero aveva chiesto di assumere la direzione della Caritas.

Alla guida dell’organismo era rimasto fino a circa una settimana prima dell’assassinio dell’arcivescovo (24 marzo 1980), quando, accusato di inviare cibo ai gruppi guerriglieri, aveva ricevuto da lui la richiesta di cedere la direzione. «Parleremo dopo», gli aveva assicurato Romero. «Il venerdì un amico giornalista mi scattò l’ultima fotografia insieme a lui. La conservo ancora. Tre giorni dopo venne assassinato. Non fu più possibile parlarne».

Ci avevano provato a lungo e in tanti modi a uccidere anche lui, fin dal suo primo incarico a Suchitoto, dove era arrivato nel ’69. Nel 1976 avevano collocato un esplosivo nella sua macchina, ma non erano riusciti a farla saltare. E nello stesso anno individui armati avevano sparato contro il suo veicolo, senza però colpirlo. Nel ’77 un contingente di membri della Guardia Nazionale e di paramilitari di Orden aveva circondato la chiesa e la casa parrocchiale di San Martín allo scopo di catturarlo. Qualcuno tuttavia aveva fatto suonare le campane, richiamando gente in parrocchia. Ed era stato questo a salvargli la vita.

Rutilio Sánchez era rimasto a San Martín fino all’aprile del 1980, quando la persecuzione nei suoi confronti era diventata insostenibile. Era stato quindi mandato in Europa, come rappresentante all’estero del Fronte Democratico Rivoluzionario, ma poi, nell’81, era tornato in El Salvador e preso la via della montagna.

Dopo gli accordi di pace del 1992, quando la fine delle «grandi invasioni militari» aveva lasciato immutata la «grande fame» – e non c’era più un arcivescovo capace di prendere su di sé il dolore della sua gente, di denunciarlo ai responsabili e di convertirlo in speranza – Tilo aveva deciso di non assumere alcun incarico politico, optando per accompagnare il suo popolo nel cammino della ricostruzione. 

È il lavoro che in tutti questi anni ha svolto il Sercoba, Equipo de Servicio para Comunidades de Base, da lui fondato nel 1992 con l’appoggio di una missionaria laica italiana, Mariella Tapella, per promuovere lo sviluppo integrale delle comunità attraverso diversi progetti di autogestione. «Il nostro compito – spiegava – è quello di educare, perché la conoscenza è veicolo di libertà; perché avere coscienza significa rompere l’isolamento, superare l’individualismo e iniziare un cammino solidale comunitario; di organizzare la base». 

E adesso rimane un “vuoto” specie per le comunità contadine che dovranno prendere esempio da ciò che era stato per loro Tilo, vale a dire un punto di riferimento imprescindibile e amatissimo dell’organizzazione contadina, un padre attento e protettivo, un maestro, un insegnante di vita insostituibile che però ha seminato il suo sapere con così tanta tenacia da dover solo attendere per vedere nuove piante che germogliano, nuove vite pronte a creare qualcosa di grande per il loro paese, tanto immenso proprio come da sempre lo aveva sognato Rutilo Sánchez, o meglio Tilo, come tutti amorevolmente lo chiamavano.

di Stefania Lastoria

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