Il futuro non corre nell’ippodromo della politica

Siamo all’ultimo morso di fiato di questa asfissiante Coppa del Presidente all’ippodromo elettorale. Più che i cavalli è sfiancato però il pubblico. Gli allibratori mediatici cercano disperatamente di piazzare le loro ultime scommesse, ma sono tanti, troppi, gli spettatori assaliti da conati di vomito, per la puzza di sterco proveniente dalle stalle. Molti sono anche quelli che ricorrono all’infermeria dell’impianto ippico. La diagnosi è: sfondamento dei padiglioni auricolari per prolungato urlo del vuoto politico compattato in bufala televisiva.

La corsa è dominata da Marasma, una mezzo sangue schizoide, montata dal mitico fantino Tano Stallo. I sondaggi clandestini che circolano in rete la danno per vincente. Sondaggi proibiti, come si sa, per le ultime due settimane di scommesse. Il divieto però è spassosamente aggirato: i nomi dei partiti, coalizioni e leader sono perciò sostituiti con goduriosi nomi di fantini e cavalli. Luis le Subjonctif (Luigi Di Maio, per i suoi problemi con il congiuntivo), Fan Fàron (Renzi), Burlesque (Berlusconi), Mathieu de Sauvegarder (Salvini), Pierre Obése (Pietro Grasso). E i cavalli Igor Brick (5 Stelle), Fan Idòle (PD), Varenne (FI), Groom the Bootz (Lega Nord), Frères Tricòlor (FdI), Liberté Ègalitè (Leu).

Domandiamoci, però e seriamente, perché c’è un così alto numero di elettori non tanto indecisi, ma che alle urne non vorrebbero proprio andarci il 4 marzo. Secondo l’ultima rilevazione di SGW sono circa diciotto milioni di persone, ossia il 37% degli aventi diritto al voto, quelli che si dichiarano per l’astensione. Fra questa massa sfuggente cercano ancora di pescare i partiti per aumentare le loro percentuali di voto. Sì, molti alla fine si faranno impigliare nelle reti a strascico dei pescherecci propagandistici, ma più per inerzia che per convinzione. Come dare loro torto? Queste elezioni si presentano come largamente illegali, basate come sono su una legge elettorale appena emanata, che nessuno ha avuto modo di leggere, approfondire e capire. Anche lo avesse fatto sarebbe stato d’altronde impossibile comprenderla, essendo redatta in maniera incomprensibile. Al punto che più che una legge, essa si configura come un vero e proprio attentato ai diritti costituzionali, politici dei cittadini. A parte i possibili ricorsi alle varie giurisdizioni nazionale ed europee, ci sono esponenti di partito che hanno già annunciato una sua profonda revisione. Da una cornice illegale e da una fuga dalla partecipazione convinta che quadro istituzionale è destinato a uscire? Non è difficile rispondere.

A cosa serve, inoltre, continuare a fare nuove, contorte leggi elettorali se manca una visione del futuro che fornisca una nuova, solida base di proposta e contesa programmatica all’altezza dei tempi. La giumenta Marasma non smetterà di correre neanche a fine corsa, mentre i vecchi brocchi partitici collasseranno già al rientro nelle scuderie. Come potranno riallinearsi per un’altra corsa, se non hanno più garretti e polmoni per reggere il vero Gran Premio che conta, ossia quello del futuro? Guardiamolo in uno dei settori cruciali, decisivi per l’unica possibile uscita dalla crisi e nuovo cammino della civiltà: il settore della scienza.

 Lo denuncia Nature, la prestigiosa e autorevole rivista scientifica mondiale. Il 20 febbraio scorso pubblica un articolo a firma Alison Abbott dal titolo Italian election leaves science out in the cold, ossia “Le elezioni italiane lasciano la scienza al freddo”. La lettura di questo articolo dovrebbe preoccupare i nostri politici, economisti, giornalisti, più di quanto possano preoccupare le influenze dei mercati o degli hacker russi. La vera frontiera sotterranea – sotterranea perché ancora non vista – su cui si stanno già decidendo i destini dell’umanità è questa. Cosa denuncia con chiarezza Nature, dando voce a chi da noi viene tolta, ossia alla comunità scientifica e di ricerca italiana?

Denuncia una tenaglia micidiale. Da una parte la riduzione – dal 2008 al 2015 – del 20% della spesa pubblica destinata allo sviluppo della ricerca scientifica italiana. Dall’altra una crescita pari al 10% dell’influenza degli studi scientifici italiani nel mondo. Un aumento di prestigio che è secondo solo a Stati Uniti e Regno Unito. Studi che però non possono essere ulteriormente ampliati e – soprattutto – fruttuosamente applicati, perché il nostro budget continua a scendere. Un calo che ha raggiunto i 7 miliardi di dollari, denuncia l’economista Mario Pianta dell’Università Roma Tre e collaboratore della Commissione Europea per l’elaborazione dei dati statistici attinenti all’Italia.

Questo significa che tale aumento di influenza scientifica internazionale va solo a beneficio di tutti gli altri paesi che la possono mettere a frutto. Ossia: quei pochi soldi che mettiamo ogni anno nella ricerca è come se li versassimo direttamente nelle casse degli altri Istituti nel mondo. Questo si coglie immediatamente anche sulla scorta dei flussi migratori dei ricercatori. “Non accade solo che gli scienziati vadano in paesi con basi forti nella scienza – afferma Pianta – c’è anche una perdita netta di scienziati dall’Italia in favore di paesi come la Spagna”.

L’aumento di prestigio delle pubblicazione scientifiche italiane è attestato da Scopus, un database dalle dimensioni enormi, con circa 30.000 articoli, provenienti da oltre 5000 editori, su 17.000 giornali sottoposti a revisione paritaria incrociata, con copertura di 3 milioni e mezzo di conferenze e loro relazioni scritte. Esso consente anche la lettura di circa 2.000 riviste Open Access, 450 milioni di pagine e web a carattere scientifico e la conoscenza di 23 milioni di brevetti. Le conseguenze però non sono soli carattere culturale-scientifico e dunque economico. Gli effetti sono anche direttamente politici. “Il divario tra i risultati scientifici e gli investimenti tra il nord ricco e il sud più povero del paese si sta allargando, contribuendo ad alimentare la politica regionalista e populista”, testimonia Raffaella Rumiati, vicepresidente di ANVUR. ANVUR è l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e deve monitorare proprio la qualità media e le punte di eccellenza della ricerca nelle nostre Università. Questa scintillante crescita dell’influenza scientifico-culturale italiana deve subire l’insulto paradossale di un declino verso la mediocrità più opaca a seguito dei continui taglia alla ricerca.

Anzi, dice Mario Pianta a Nature: “We are on the verge of collapse”, siamo sull’orlo del collasso, e nessun programma dei partiti che ci chiedono il voto mostra di avere una seria sensibilità di visione, di apertura verso un reale orizzonte di futuro, attraverso una delle più avanzate comunità scientifiche del mondo: quella italiana, appunto. No, essi continuano a puntare su fantini fantasma e ronzini scoppiati, foraggiando allibratori catodici che imbandiscono la tavola mediatica di caciotte scadute per far pagare a noi le loro scommesse perdute.

di Riccardo Tavani

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