Il prossimo tuo

Anche per chi, come me, non è molto religioso né praticante, alcuni passi dei Vangeli sono particolarmente  significativi e valgono per tutti gli esseri umani, di tutti i tempi e di ogni credo. Per esempio questo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante” (Marco 12,31). Non è necessario, infatti, essere religiosi per capire che è un insegnamento di grande portata, nonostante la sua assoluta semplicità.

Ed è una semplicità ricca di significato.

Prima di tutto perché non chiede di sacrificare se stessi agli altri o di rinunciare a se stessi: al contrario invita a considerare se stessi e gli altri su un piano di parità, senza artificiose gerarchie di valori. C’è, poi, la premessa implicita di amare se stessi, per poter amare l’altro: ma in modo sano, non egoistico. E c’èl’inevitabile conseguenza che siamo del tutto uguali, noi e gli altri. Non importa dove siamo nati. Non importa il colore della pelle. Non importa di che sesso (o di che genere, come si dice oggi) noi siamo. Il “prossimo”, in fondo, è chiunque tu incontri sulla tua strada, chiunque entri in contatto con la tua vita.

Si dice (ed in certa misura è vero) che la civiltà europea e, più in generale, quella  occidentale abbiano radici cristiane; che le nostre leggi, le regole della nostra civile convivenza, nascano dai principi fondamentali del cristianesimo; che il rispetto della dignità umana e la sacralità della vita, o i diritti fondamentali dell’individuo abbiano una matrice cristiana. Ed in effetti, quel “comandamento” – amerai il prossimo tuo come te stesso – sembra poter essere la base più bella della convivenza civile. E della democrazia, perché il termine usato (“il prossimo”) ci rende tutti uguali. Se no, quel “Rabbi” di duemila anni fa, avrebbe scelto un’altra parola. Per esempio: i tuoi connazionali, quelli della tua razza, quelli della tua religione, quelli del tuo sesso, quelli che la pensano come te…

Negli ultimi anni, non pochi politici hanno mostrato di aver dimenticato questi concetti. Paradossalmente, proprio quelli che, a parole, più si richiamano alle radici cristiane della civiltà occidentale. Si possono conciliare concetti e pratiche come “prima gli Italiani” o “America first” con i principi del cristianesimo? Forse che gli “altri”, quelli che vengono “dopo”, non sono “prossimo”? E, traducendo sul piano civile quell’insegnamento, forse che non hanno gli stessi diritti? Non credo sia un caso che il nazionalismo esasperato, quello che ti fa credere lecito sottomettere gli altri con la forza (è, in fondo, storia abbastanza recente e molto vicina) abbia avuto fonti di ispirazione ideologica non cristiane. Ma si sa, i politici, generalmente, non hanno la virtù della coerenza e, in compenso, hanno pessima memoria.

Forse può sembrare eccessivo da parte mia tacciare di anticristianità qualunque tipo di “suprematismo”. Ma la contraddizione esiste ed è forte, perché dal suprematismo (di qualunque tipo, in qualunque epoca e in qualunque continente) prima o poi nasce l’odio,magari non esplicito, magari imbellettato con parole più accettabili; ma talvolta esplicito e scoperto.Forse è superfluo portare come esempio due realizzazioni apparentemente opposte del suprematismo: il ku klux klan e il daesh. Però quel precetto, parlando di “amare”, non consente certi giochi. L’amore non può avere se e ma. Coltivare qualunque tipo di suprematismo è un esercizio che può portare anche dove non si sarebbe voluto, perché mina la base dei rapporti umani: si seleziona il “prossimo”.

Ecco perché la polemica se gli italiani siano o no razzisti mi lascia sconcertato. Intanto è inutile: come in ogni paese del mondo i razzisti esistono anche in Italia,  anche se sono minoranza. L’importante sarebbe non rafforzarli, ma negarne l’esistenza è puerile. Uno che spara a dei neri perché un nero ha commesso un delitto, come vogliamo chiamarlo (oltre che stupido, ovviamente)?

E’ un po’ come per la mafia: è chiaro che i mafiosi sono una sparuta minoranza, dal punto di vista numerico, non solo in Italia ma anche in Sicilia (5.900 circa, secondo stime ufficiali: poco più dell’1 per mille della popolazione siciliana). Ma la mafia esiste,  anche se i mafiosi sono pochi. Soltanto i mafiosi e i politici collusi dicevano che “la mafia non esiste”: un modo  ipocrita di sostenerla. Similmente, dire che il razzismo non esiste è dare una mano al razzismo, anche se, certamente, i razzisti sono pochi. Agli uni ed agli altri, la forza viene dalla zona d’ombra di quelli che si girano dall’altra parte, che dicono che non è vero. Senza queste sfumature di grigio, quelle sparute minoranze non sarebbero un problema.

È stata recentemente depositata una proposta di legge leghista che vuole rendere obbligatorio il crocifisso nelle scuole, nelle università e negli uffici pubblici. La motivazione ufficiale del ddl sarebbe che “cancellare i simboli della nostra identità, collante indiscusso di una comunità, significa svuotare di significato i princìpi su cui si fonda la nostra società”.

Forse è buona cosa il crocifisso obbligatorio, forse no; ma, in ogni caso, non è il simbolo della nostra identità. Se mai è il simbolo dell’insegnamento di cui sopra: ama il prossimo tuo. Certo Gesù non insegnava nessuna forma di suprematismo; non era sua intenzione, credo, di creare una scala di valori per la quale gli italiani, o qualunque altro popolo, debbano venire “prima” degli altri; né di diventare “collante” di una qualche identità nazionale. O forse che un ateo smette di essere italiano? O magari un ebreo?  Raramente ho letto una cosa stupida come quella motivazione. Magari, chi si dichiara cristiano dovrebbe capire un po’ meglio che cosa questo significhi. Possibilmente, anche chi si dichiara italiano dovrebbe sapere meglio che cosa questo significhi. E perché il nostro sia uno stato laico e non uno stato confessionale, come alcuni stati islamici. Anchel’insegnamento di quel Rabbi era piuttosto laico, attento a non confondere i piani della politica e della fede: “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Matteo, 22,21).

Certamente, amare la patria è una virtù. Come amare se stessi. E questa virtù, per essere tale, deve essere temperata dal rispetto delle altre patrie e, se possibile, dall’amore del prossimo.

Ecco, per esempio, come la pensavano dei patrioti veri di un’epoca dimenticata:

Costituzione della Repubblica Romana (3 luglio 1849), principi fondamentali:

IV ”La repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana”.

(N. B.: difendere  l’italianità viene al terzo posto, dopo la fratellanza e il rispetto)

VII “Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici”.
Non sarebbe meglio mettere sui muri delle scuole, università e uffici pubblici, ben leggibili, queste parole? Magari accanto a quelle citazioni del Vangelo?

di Cesare Pirozzi