Cine-pillole d’un freddo inizio aprile

Full Time – Al cento per cento. Suspense e stress nel banale quotidiano lavoro d’una donna. Julie, separata, due figli minori, capo cameriera al piano d’un hotel 5 stelle, vive fuori Parigi e sta cercando un altro lavoro. La sua corsa contro i ritmi di lavoro in casa, in albergo, su treni, metro e autobus non ha mai fine, inizia che è ancora notte e termina che è di nuovo notte. Tutto si accanisce contro di lei e il film è interamente giocato sul piano di un montaggio serrato, quasi da action movie. Non si può, però, fare a meno di ricordare e rendere omaggio al film di Daniele Vicari, Sole cuore amore, del 2016, opera, invece, inconcepibilmente resa quasi clandestina al pubblico italiano.

Lunana – Il villaggio alla fine del mondo. Semplice nella forma ma non semplicistico nei contenuti. Un giovane, il cui unico sogno è espatriare dal suo Paese, il Bhutan, si trova, invece, catapultato a fare il maestro elementare nella scuola d’un villaggio con sole cinquantina anime a quota 4.800 metri d’altezza. La spiritualità pura delle persone e del luogo, legata alle cose concrete e utili alla sopravvivenza della natura, gli schiudono un orizzonte insospettato. Il titolo originale, tradotto in inglese, e molto più significativo è Lunana – A Yak in classroom, perché gli yak sono considerati non animali, ma alla stessa delle persone, essendo indispensabili e partecipi della loro esistenza. Candidato per il Bhutan agli Oscar come Miglior Film Straniero.

Ambulance. Puro e mero action movie per chi ama il genere. Uno è nero, l’altro bianco, ma sono fratelli. Insieme a una banda sciamannata rapinano una delle banche centrali di Los Angeles, portandosi via una camionata di bigliettoni. Fuori, però, la polizia li stava già aspettando. Sangue e pioggia di pallottole come non ci fosse un domani. I due brothers fermano l’ambulanza su cui era stato caricato proprio un poliziotto da loro ridotto in fin di vita. Inseguimenti da capogiro. Le riprese fatte da una vera e propria squadriglia di droni incrociano il loro volo con quello degli elicotteri all’inseguimento dell’ambulanza in bassissima quota tra palazzi, cavalcavia, canali fluviali, mostrando di cosa è capace la potenza di fuoco della nuova tecnologia elettronica cinematografica. Quasi tre mesi e mezzo di riprese, per quasi due ore e mezzo di film. Remake – fino a un certo punto – dell’omonimo ma meno potente film danese del 2005.

Coda – I segni del cuore. Remake in versione stelle e strisce. Piacevolmente sorprendente anche per chi ha visto il film francese del 2014 che riadatta, ossia La Famiglia Bèlier. La vicenda è quella di una figlia normale, che fa da interprete ai due genitori e al fratello sordomuti. Questa versione, infatti, mostra una rara capacità e sapienza cinematografica nel mettere in risalto aspetti più autenticamente “drammatici” della commedia. Un risultato cui – oltre la regista Siam Herder – hanno senz’altro contribuito i tre attori realmente sordi, appartenenti al Deaf West Theatre. Strameritatissimo l’Oscar a uno dei tre, quale Migliore Attore Non Protagonista. Troy Kotsur stacca, infatti, una seriamente spassosa figura di padre, vecchio e tenace hippie americano. Anche il passaggio dal lavoro di campagna a quello di pescatori in mare della famiglia è una variazione dinamica ben riuscita. Il CODA del titolo sta Child Of Deaf Adult, figli di adulti sordi. Meritava i tre Oscar che ha vinto, tra cui quello principale di Miglior Film? Forse no, ma non credo che la ragione della vittoria sia stata nel voler premiare a tutti il politically correct. È che in questa edizione c’erano anche altri remake candidati, tra cui West Side Story, di Steven Spilberg, e il pur meritevole Dune, di Denis Villeneuve. E c’è anche la guerra in Europa, cui l’America non vuole far proprio pensare gli americani: cosa meglio di una commedia?

Parigi 13 Arr. La vecchia favola dell’amore aujourd’hui. Il 13° Arrodissement, circoscrizione di Parigi, è tessuta di un urbanistica e di un intreccio multi etnico e multiculturale particolare. Non una banlieue, una periferia degradata, ma un nitore architettonico e una piccola media borghesia lavorativa. Camille un giovane prof nero affitta una camera nella casa di Èmile, una ragazza cinese, addetta a un call center. Fanno subito sesso… ma c’è amore? Cambi di lavoro, di partener, collezionismo erotico, gratuito – in tutti i sensi – o a pagamento, sex social da remoto rendono bene il nostro reale presente in bianco e nero. L’eterno schema della favola d’amore, però, rimane sempre quello: Incontro, complicazione, separazione, rincontro, gaudioso ricongiungimento finale.

L’altro buio in sala. Immagine e parola a dodici storiche sale d’essai. La pandemia è stata una tempesta che ha fatto vacillare con più forza un albero da tempo già sferzato dal vento della tecnologia, dei social, delle piattaforme, delle serie, più che l’avvento della TV. Scelto come vate Silvano Agosti del mitico Azzurro Scipioni a Roma, l’autore di questo film documentario, Ciro Formisano, ci conduce tra le poltrone, gli schermi, gli ingressi, i gestori di dodici cinema del cuore. Dà loro immagine, voce, storia, gloria, luce di speranza, ombra di timore. Sono: Azzurro Scipioni, Cineteca di Bologna, Cineteca di Milano, Baretti di Torino, Verdi di Candelo (Biella), Mignon di Mantova, Delle Provincie di Roma, Giometti di Riccione, Don Bosco di Roma, Nuovo Aquila di Roma, Mexico di Milano, Farnese di Roma. Vicende che intrecciate insieme ci danno un quadro della storia sociale del cinema in Italia fatta di capitoli appassionanti. Tra essi quello della mutazione a volte davvero spettacolare, di alcune sale, per generi di film e di pubblico he le caratterizzava. Le più significativa sono le sale parrocchiali, o all’opposto quelle allora dette al luci rosse, ossia porno. O i capitoli sul lancio di registi e di film la lunga tenitura in programmazione. Come il Mexico di Milano, che ha lanciato The Rocky Horror Picture Show, di Jim Sharman, del 1975, e – un giorno a settimana – continua a proiettarlo ancora oggi. O come il Farnese di Campo de’ Fiori a Roma, che ha tenuto in cartellone per 14 mesi di seguito Nuovo Cinema Paradiso, di Giuseppe Tornatore, del 1988, contribuendo all’affermazione del film e ottenendo il prestigioso riconoscimento del Biglietto D’Oro.

di Riccardo Tavani

Print Friendly, PDF & Email