Eredità di Benedetto XVI

Mentre i Cattolici, almeno una non irrilevante parte tra loro, iniziano a fare quello che da almeno 100 anni la Chiesa ha sempre fatto, cioè imitare male il mondo, e quindi iniziano a polarizzarsi anche loro, come tutto e tutti in questa fase storica, tra “bergogliani” e tradizionalisti, io credo che la questione di fondo sollevata dalla morte di Benedetto XVI sia radicalmente un’altra.

Quale eredità lascia questo gigante della teologia del XX e inizio XXI secolo?

Con due citazioni di Joseph Ratzinger vorrei, con questo articolo, contribuire ad una riflessione su questo punto. Ratzinger è stato il primo Papa in molte cose. Il primo Papa a scrivere che i gay sono figli di Dio, il primo Papa a scoperchiare con decisione il masso che celava i serpenti degli abusi e della pedofilia, che già da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede aveva combattuto ponendo le basi canoniche per affrontarla e poi aveva clamorosamente denunciato durante la famigerata Via Crucis del 2005.

Ratzinger, Benedetto, è stato anche il primo Papa ad avere la chiara consapevolezza che l’intero paradigma del Cristianesimo vissuto come religione di potere era già nel 2005 provvidenzialmente esaurito. È stato il primo Papa nella cui opera si trova l’assoluta certezza del tramonto della Chiesa come istituzione politico-religiosa, insieme alla stringente necessità di elaborare un paradigma nuovo di cultura cristiana all’altezza dei tempi.

È folgorante la lucidità con cui Ratzinger, già nel 1968, denunciava l’insufficienza del cristianesimo storico, incapace di porsi come una credibile alternativa epocale per l’uomo contemporaneo dal punto di vista culturale, politico, economico, sociale.

Dagli scritti di Ratzinger emerge l’urgenza profonda di un nuovo modo di essere cristiani che deve germogliare, nascere nella carne delle antiche chiese mondiali, soprattutto europee.

Confidare nella fede dei popoli africani o sud americani senza cambiare niente non servirà ad altro che a rallentare un crollo evidente, e a lasciar corrodere nell’acido della storia anche la fede di quelle popolazioni così come accaduto per la nostra. Si tratta di cambiare, con coraggio, con radicalità, e a questo tema Joseph Ratzinger ha dedicato tutta la sua vita. la sua testimonianza su questo punto resta, per la Chiesa, una traccia ineludibile.

Scriveva il Cardinale Ratzinger nell’introduzione del 2000 al suo testo fondamentale Introduzione al Cristianesimo del 1968: “Sebbene il numero dei cristiani credenti nel mondo non sia modesto, in questo momento storico il cristianesimo non è riuscito a porsi distintamente come un’alternativa epocale”.

E il professor Ratzinger, in uno scritto del 1969:

“Dalla crisi odierna emergerà una Chiesa che avrà perso molto.

Diverrà piccola e dovrà ripartire più o meno dagli inizi.

Non sarà più in grado di abitare gli edifici che ha costruito in tempi di prosperità.

Con il diminuire dei suoi fedeli, perderà anche gran parte dei privilegi sociali.

Ripartirà da piccoli gruppi, da movimenti e da una minoranza che rimetterà la Fede al centro dell’esperienza. Sarà una Chiesa più spirituale, che non si arrogherà un mandato politico flirtando ora con la Sinistra e ora con la Destra. Sarà povera e diventerà la Chiesa degli indigenti.

Allora la gente vedrà quel piccolo gregge di credenti come qualcosa di totalmente nuovo:

lo scopriranno come una speranza per sé stessi, la risposta che avevano sempre cercato in segreto.”

In queste due citazioni è già presente in nuce – se accostate ad altre fondamentali parole come quelle dell’omelia in apertura del Conclave che lo avrebbe eletto Papa sulla dittatura del relativismo – l’immagine già definita di una nuova cultura cristiana. Di un cristianesimo capace di ripartire da piccoli gruppi, dal cambiare i cuori in profondità; di una spiritualità capace di porsi come opposizione contro-culturale al Sistema di potere dominante, come auspicava Pasolini già nel 1975.

La costruzione di una inedita e nuova cultura cristiana è presente in nuce nell’opera di questo grande Papa, tutta ancora da ricomprendere e da costruire.

Giacomo Fagiolini