Liberi da chi? Liberi da cosa?

Coordinatrice di Redazione

“La Resistenza e il movimento studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline”. Così si esprimeva Pier Paolo Pasolini riguardo il movimento partigiano che, il 25 Aprile di 71 anni fa, ha portato alla liberazione dell’Italia dall’oppressione della dittatura fascista.
“Che Paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti trent’anni non è più cambiata”. Così si esprimeva sempre, in un articolo scritto nel 1973 ed indirizzato allo scrittore Sandro Penna, lo stesso Pasolini.
Si potrebbe pensare ad una stridente contraddizione, ad un tentativo di provocazione ma, ancor più a distanza di qualche decennio, si rivela essere qualcosa di completamente diverso. La sintesi di 71 anni di storia italiana. La sintesi di un fallimento, di un’occasione mancata, di un tradimento a quell’esperienza democratica e rivoluzionaria per cui tanti hanno scelto di combattere. Scegliere, questo è il verbo di chi la Resistenza l’ha fatta. Non una chiamata alle armi, non un obbligo di leva ma una scelta, questo ha contraddistinto e allo stesso tempo ha unito cattolici e comunisti, anarchici e liberali, monarchici, azionisti. Scegliere di essere liberi, di lasciare a noi, figli di questa stessa terra, un Paese fatto di cittadini pensanti, in grado di comprendere e di agire. A distanza di 71 anni viene da chiedersi cosa siamo stati in grado di conservare di questa libertà guadagnata sasso per sasso sui monti. Siamo liberi da cosa? Da chi? Chi c’è stato prima di noi, i partigiani, ha combattuto e distrutto un regime che imponeva criminalmente le proprie leggi. Avevano un nemico, questo nemico aveva un volto, portava una camicia nera, parlava il tedesco, in tempi già più tranquilli portava la corona e per questo andava messo da parte. Qual è il volto del nostro oppressore? Il volto, volendo passare di nuovo attraverso Pasolini, di questo “fascismo del terzo millennio”? Verrebbe da dire che questo volto è il nostro, quello di tutti. Perché la nostra oppressione non è più un’ideologia, ma un’assenza di ideologia, di fede. La nostra oppressione è quella macchina del consumo che ci ha reso tutti ingranaggi perfettamente oliati di uno stesso sistema volto a propinarci un’uguaglianza e una libertà che, in definitiva, non esistono. Perché libertà è diversità, o meglio, è libertà di diversità cosa che, mai come oggi, risulta intollerabile all’occhio fedelmente ammaestrato dei più. La dittatura a cui siamo sottoposti non ha forme ufficiali, ha perso anche quelle. Ha forme effimere, dettate dalla moda, dalle tecnologie, ma ha ancora le sue forme. Il vestito alla moda, il telefono di ultima tecnologia, il locale a cui non si può non andare, le mete di vacanze che se non ci vai sei zero, le categorie di pensiero per cui tutti devono essere qualcosa di ben preciso, produrre qualcosa di ben preciso, desiderare, sì, persino desiderare ed amare, qualcosa di ben preciso per essere socialmente accettabili. Qualcosa che nessuno di noi riesce a definire ma che tutti (o almeno tutti coloro che abbiano avuto in dono una coscienza) sentiamo. Un dispotismo prevaricante e totalizzante, che non ci vuole imporre l’adesione ad un credo, ci vuole piuttosto togliere qualsiasi forme di credo per ridurci ad animali che anelano al solo godimento. E rintronati da queste luci da palcoscenico un po’ triste cadiamo nel buio baratro dell’indifferenza. Indifferenti alla comprensione, all’analisi critica, alla partecipazione. Anestetizzati. Produrre, consumare, produrre, consumare. Apparire, mostrare. La tensione civile non ci sfiora più, siamo presi da altro, demandiamo per poi lamentarci di coloro ai quali abbiamo demandato. E mentre naufraghiamo in un mare di luci e di merci chi può scegliere anche per noi lo sa e lo fa. Lo fa togliendoci persino la libertà di essere informati ( basti vedere l’ennesima retrocessione nel rapporto stilato da Reporter Sans Frontier sulla libertà di stampa, che ci vede miseramente posizionati al settantasettesimo posto su 180 Paesi presi in considerazione), bombardandoci di informazioni che oscillano tra il fallace ed il superfluo, cercando di convincerci che persino quell’enorme, meravigliosa conquista dei nostri partigiani che è stata la Costituzione debba essere gettata via. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dei festeggiamenti del 25 Aprile ha citato una frase che Giuseppe Mazzini avrebbe pronunciato rivolgendosi ai sostenitori di un intervento francese: “Più che la servitù, temo la libertà recata in dono”.
E aveva ragione Mazzini. Avevano ragione i partigiani sulle montagne, le staffette sulle biciclette. Avevano ragione tutti quelli che avevano capito che la libertà calata dall’alto non è mai una libertà, ma è un’imposizione in cambio di un ebete sorriso. Resistere oggi significa ancora una volta scegliere di non impecorire di fronte alle lusinghe dei potenti che in nome di uno sviluppo e di un benessere di cui noi conosciamo solo le briciole tentano di piegarci, di renderci muti. Resistere significa istruirsi, informarsi, essere curiosi, non fermarsi alle versioni ufficiali, fare domande, opporsi, indignarsi, anche adirarsi se è necessario. Resistere significa amare le diversità e non l’uguaglianza retorica dell’omologazione, significa scegliere la legalità in un Paese che annega nella corruzione. Scegliete, scegliamo.

di Martina Annibaldi

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