MOBY PRINCE: squarciato il muro del silenzio

Da 29 anni una nave ancora non trova approdo nel porto della giustizia. Naviga in un tormentato mare lontano dalla verità. La nave è la Moby Prince della compagnia di navigazione Moby S.p.A. originariamente Nav.Ar.Ma (Navigazione Arcipelago Maddalenino), la sera del 10 aprile 1991 è alla fonda nel porto di Livorno e si appresta a salpare.

I motori della nave sono a regime le ciminiere fumano, tutto è pronto, l’equipaggio termina le ultime procedure prima di mollare gli ormeggi. La Moby Prince quella sera aveva a bordo, tra equipaggio e passeggeri, 141 persone.

Alle ore 22:03 il traghetto in servizio di linea tra Livorno e Olbia salpa dal porto toscano. Procede lentamente avvolto nella nebbia seguendo la rotta stabilita per uscire dal porto. Durante la navigazione la prua della Moby Prince colpisce il ventre di un’altra nave. Non è un nave qualunque, quella colpita è la Agip Abruzzo, una petroliera. la prua della Moby Prince entra nel ventre delle sue cisterne gonfie di petrolio.

Alle 22:05 il marconista della Moby lancia il Mayday: «Mayday Mayday Mayday, Moby Prince Moby Prince Moby Prince, Mayday Mayday Mayday, Moby Prince! Siamo in collisione, siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Siamo entrati in collisione e prendiamo fuoco! Mayday Mayday Mayday, Moby Prince, siamo in collisione ci serve aiuto!».

Intanto il petrolio che fuoriesce dalla Agip Abruzzo si riversa in mare e sul traghetto. Nave contro nave, lamiere contro lamiere. Il rumore agghiacciante del loro sfregamento non è una buona cosa. Le scintille generate dall’attrito ferroso trasformano le due navi in un accendino che innesca l’incendio del petrolio abbondantemente fuoriuscito dalle cisterne della petroliera. Secondo il consulente di parte civile, nel processo che seguì, si trattò di una quantità di greggio compresa tra le 100 e le 300 tonnellate.

La Moby prende fuoco rapidamente continuando a navigare spinta dai motori ancora accesi. Passeggeri e equipaggio rimangono intrappolati sul traghetto avvolto dalle fiamme. Muoiono tutti meno uno. Il Mozzo Alessio Bertrand è miracolato. Viene recuperato dai soccorsi mentre continuava a ripetere che c’era gente da salvare. Il mozzo è l’unico testimone della tragedia. L’unico uscito vivo da quella nave in fiamme. Si è salvato camminando sui cadaveri. Si è salvato ma non nella psiche. Alessio, parole sue, ancora oggi non ha il coraggio di guardare il mare, il solo rumore delle onde gli riporta la mente a quei minuti terribili in bilico tra la vita e la morte.

Da 29 anni si aspetta la verità su quello che è successo quella sera. Errore umano? Problemi tecnici del traghetto? Presenza della nebbia? Posizione della petroliera Agip Abruzzo? Ritardo dei soccorsi? Tutti punti interrogativi a cui commissioni di inchiesta, processi e condanne ancora non hanno dato esaustive risposte. Sono affiorate negli anni anche altre ipotesi escluse in sede giudiziaria. L’ipotesi di un attentato, del traffico navale in rada, delle navi militari presenti in quello specchio d’acqua, del traffico d’armi nel porto di Livorno.

Il 10 aprile 1991 era un mercoledì, al governo c’era Giulio Andreotti che di li a pochi giorni succederà a se stesso.

In Italia le verità sono sempre tardive, 29 anni sono tanti ma gli italiani hanno il diritto di conoscere la verità su una delle più gravi sciagure della marina mercantile dal dopo guerra.

29 anni in cui i familiari delle vittime ogni giorno che passa vedono aumentare sulle loro spalle il peso invisibile dato dalla consapevolezza che le istituzioni poco avrebbero fatto per fare luce completa sulla vicenda. Sembra tuttavia che grazie al lavoro della Commissione Parlamentare di inchiesta la verità si stia avvicinando.

Le Procure di Roma e Livorno lavorano sui reati non prescritti. Mentre la causa civile che i familiari hanno intrapreso nei confronti dello Stato avrà la prima udienza il 26 marzo 2020 presso il Tribunale di Firenze. Ci sono ancora troppe ombre su cui far luce e speriamo che si faccia per rendere giustizia a quelle vittime innocenti e togliere quel fardello opprimente dalle spalle dei familiari che da troppo tempo portano.

di Eligio Scatolini e Giuliana Sforza