La questione morale

Claudio Caldarelli Direttore Responsabile

“Piercamillo Davigo ce l’aveva con l’eclissi della questione morale. E’ questa –ne sono convinto- la chiave di lettura giusta delle dichiarazioni che tante polemiche hanno suscitato. Questione morale significa trasformazione della politica in lobby d’affari, contaminazione fra apparati dei partiti e mondo affaristico-economico; ne sono figli il clientelismo, il conflitto di interessi e varie forme di illegalità, dalla corruzione alle collusioni con la mafia. Non si tratta di fumisterie di parrucconi fuori tempo, ma di una questione democratica e istituzionale di formidabile attualità”. Gian Carlo Caselli sul il Fatto Quotidiano ribadisce la validità delle tesi espresse dal presidente della Anm (Associazione Nazionale Magistrati) Piercamillo Davigo.
Davigo usa le parole dirette, chiare e trasparenti, per sottolineare che la questione morale non è superata, non è un reperto archeologico. Anche se i tentativi di annebbiarla sono quotidiani, quasi che fosse normale la corruzione e la concussione. Non c’è più etica della politica, non c’è più senso di vergogna nell’essere presi con le mani nel sacco. “…le dimissioni, da parte di persone che hanno responsabilità nazionali o locali, anche a livello istituzionale – persone che abbiano avuto incidenti di percorso, vale a dire vicende che- anche a prescindere dal loro esito giudiziario, comprendono comunque gravi e sicure responsabilità politiche e morali, non rientrano ancora nell’ordine della normalità…chi viene trovato con le mani sporche di marmellata, magari fino al gomito, riesce ancora ad essere commensale abituale e rispettato in banchetti esclusivi, dove può continuare a rimpinzarsi come se niente fosse mai accaduto…”
Piercamillo Davigo – dice Caselli – ha semplicemente riproposto la questione del rapporto tra etica e politica. Circa 25 anni fa Mani Pulite, (termine coniato dal segretario del PCI Enrico Berlinguer, ndr) e le inchieste sui rapporti tra mafia e politica segnò, per il nostro paese, un forte recupero di legalità. In quel tempo, la speranza dei cittadini onesti, fu che potesse prevalere quell’Italia che vuole applicare le regole e rispettare la cosa pubblica. La speranza che gli onesti potessero prevalere sui disonesti. Ma ebbero il sopravvento l’indifferenza e l’ostilità verso chi dall’interno dello Stato cerca ancora di garantire la legalità. Una ostilità costruita dai vari governi iniziando con Craxi, passando per Berlusconi, per approdare fino all’attuale premier Renzi. Uniti in un unico coro contro i magistrati o comunque innestando il dubbio sulla validità del loro lavoro. Si ripete un po’ quella strategia della delegittimazione che va avanti da molti anni, andando a colpire anche i giudici di Palermo che sono in prima fila nella lotta alla mafia, che cercano la verità sulle stragi e indagano sulla trattativa Stato-mafia e sono continuamente minacciati di morte dai boss di Cosa Nostra.
Una strategia politica efficace, che mette sotto accusa i magistrati, invece dei corrotti e mafiosi, che rafforza i poteri che della illegalità ne traggono profitti enormi, permette loro di ricostruire posizioni, che erano state scalfite o distrutte dalle inchieste giudiziarie, avvalendosi di legami politici e istituzionali. Basti pensare all’uso cinico del termine “giustizialismo”, una parola un tempo sconosciuta nel linguaggio giudiziario, “poi introdottavi con la precisa finalità mediatica di diffondere pretestuosamente l’idea di un uso scorretto della giustizia, costringendo il dibattito a partire da una sorta di verità rovesciata”.

di Claudio Caldarelli

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