Quel che resta del 1 Maggio

Luca De Risi

Forse qualcuno se lo ricorda ancora. Il 1 maggio arrivava qualche giorno prima. Forse, addirittura di qualche mese.

 Solo qualche anno fa, la Festa del Lavoro occupava il dibattito politico ma anche la chiacchiera da bar in modo ‘importante’ e trasversale. Era precorsa e preannunciata da un volo aereo di idee ed intenzioni, di rivendicazioni ed auspici, di proclami e promesse che ti si appiccicavano addosso come una fragranza. Era un po’ come un profumo, tra quelli della stagione. Eri intriso dal peso liquido di voci  e pensieri che ti inzuppavano – ben prima del 1 maggio – con schizzi  di teorizzazioni, spruzzi di previsioni, bagni di analisi che TV, giornali e anche la rete si rimbalzavano in un martellante botta e risposta.

 Ci piaceva? Non sempre. Ma ora che non c’è più, ci manca.

 Era un appuntamento sentito, al di là, della commemorazione. Pochi sapevano e sanno perché cade il 1 maggio la Festa del Lavoro, in memoria delle battaglie sindacali e operaiste, e i caduti, delle manifestazioni che – tra il 1882 e il 1886 – portarono i lavoratori di New York e Chicago in piazza per rivendicare l’adozione della legge del 1867 che, in Illinois, fissava in otto ore l’orario di lavoro quotidiano. Pochi lo sapevano ma non era, poi, così importante.

 Ciò che contava e che ci raggiungeva era l’attualità di quella Festa, la pregnanza di quella giornata. Non c’era politico o sindacalista, lavoratore o studente che non ne fosse informato. Di più: che non sentisse che in quella data si annodavano temi e questioni importanti – davvero, radicali – che lo riguardavano.

 Era riflessione e stimolo sul presente, ricordo del passato, speranza e desiderio di futuro. Non importava se allontanato o se difficile. Fosse anche posto ai margini dell’utopia, il tempo di tutti si riscopriva scandito e orientato da una ricerca di senso a cui il ‘lavoro’ e la possibilità di ‘lavorare’ dava risposta urgente e concreta.

 Senso e attualità. Nella prospettiva del ‘lavoro’ erano due parole piene di riverberi e significati, dalle implicazioni umane e sociali sconfinate.

 Ora, però, nel mondo in cui si va perdendo il ‘senso’ del lavoro anche il tempo e la nostra attualità, rischiano di scomparire dal nostro orizzonte valoriale. Il tempo del ‘non lavoro’ è tempo che manca di ogni attualità e di ogni senso, in una indistinzione terrifica e isolante.

 Il problema delle riforme introdotte dal Jobs Act – a mio avviso – non è solo l’introduzione di ulteriori occasioni di precarietà e flessibilità dei lavoratori; di disgregazione delle forze sindacali; di perdita del potere contrattazione e di diritti.

 A me sembra che la riforma sia il sintomo in sé di una perdita di ‘senso’ del lavoro come possibilità di stare nell‘attualità’ del mondo: e che ciò sia la malattia di un mondo globale che, inevitabilmente e pericolosamente, è tentato di sfumare nell’ideale e nell’idealizzazione.

Il mondo globale è il mondo sognato e sognante di pochi: l’impegno, la fatica quotidiana, il sudore, i bisogni dei più sono – di fatto – espulsi dall’attualità di un mondo che è globale in quanto è virtuale.

 In questa impressionante deriva che ruba senso e tempo all’attualità del ‘reale’, il ‘lavoro’ che ne era stato il motore e il movente ha perso ogni congruità.

 Il tema scelto per l’edizione 2016 del Concertone del 1 maggio è “Più Valore al Lavoro. Contrattazione, Occupazione, Pensioni”. Questo è  tutto quello che riesco a sapere – qui e ora – di una festa che era memoria di una attualità fondata sul senso e il tempo scanditi dal lavoro, che già non è più.

 Mi auguro di essere contraddetto, ma ho il sentore che anche per il 1 maggio saremo costretti ad ammettere quello che è stato segnalato – in verità da pochi – per il recente 25 aprile. Paginate sul tempo, elzeviri affabulanti sul ‘ponte’ e neppure un accenno alla Festa che sancisce la Liberazione d’Italia e la Festa della Resistenza.

 E’ già 1 maggio e il silenzio è rotto ‘solo’ da un bel concerto. Nient’altro?

di Luca De Risi

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