La rivoluzione è donna
Se non ora, quando? È il nome del movimento che, il 13 Febbraio del 2011, riuscì a portare in piazza oltre un milione in nome della difesa dei diritti delle donne. Un barlume di speranza, presto spento, che ci lascia in eredità una sola domanda purtroppo più attuale che mai: se non ora, quando?
Se non ora, quando un mondo pensato su misura per le donne quanto per gli uomini? Un mondo fatto di pari diritti, pari opportunità che non si riducano alla mera condanna della violenza perpetrata ai danni delle donne. Quella non è uguaglianza è umanità, è civiltà nei suoi aspetti fondamentali, è semmai la base di una riflessione comune che, per trasformarsi in azione, deve necessariamente condurci a comprendere dov’è che sono radicate le ragioni che tanto spesso conducono a questa violenza. Non basta lo sdegno, non basta il lutto, la condanna, non basta nemmeno la riflessione.
Perché le donne ottengano una reale parità di diritti e di doveri occorre ripensare questa società interamente declinata al maschile, scardinarne le fondamenta fatte di pregiudizi, falsi miti, retaggi culturali e religiosi di per sé fragilissimi ma diventati solidi attraverso la nostra passiva accettazione, la nostra distorta concezione di normalità.
Quella rivoluzione delle donne di cui tanto, soprattutto in passato, si è sentito parlare passa attraverso di noi, attraverso le nostre vite. A poco servono le piazze gremite se prima delle nostre marce, dei nostri slogan, delle nostre pubbliche battaglie, la rivoluzione non è avvenuta nelle nostre teste, nel nostro sguardo sul mondo. La piazza, la marcia sono lo strumento con cui dialogare con le istituzioni, sono la cassa di risonanza attraverso cui far passare le nostre convinzioni, affinché la nostra voce arrivi quanto più lontano ma non sono le nostre convinzioni, non sono l’obiettivo. E ciò che è avvenuto con movimenti come “Se non ora quando” forse ne è la riprova.
Cosa fare, dunque? Si diceva, poco sopra, che la rivoluzione delle donne passa innanzitutto attraverso la nostra personale rivoluzione. Ebbene, dovrebbe forse essere questo il primo, apparentemente banale, punto di un ideale programma di cambiamento.
Cambiamo il nostro sguardo sul mondo, donne! Smettiamo di dare per scontata la giustezza di ciò che ci viene tradizionalmente insegnato su ciò che siamo o che dovremmo essere. Chiediamoci ogni giorno se ciò che stiamo vivendo sul posto di lavoro, in mezzo alla strada, in casa con le nostre famiglie, con gli amici, con la persona che amiamo andrebbe diversamente se fossimo uomini. Chiediamoci se le nostre scelte, anche quelle che ci sembrano più irrilevanti, quelle che appartengono alla più minuta vita quotidiana, sono dettate dalla libertà di decidere per noi stesse o dalla cieca abitudine ad essere ciò che ci viene richiesto di essere. A ricoprire un ruolo che non abbiamo scelto ma che ci è stato dipinto come inevitabile, predestinato, normale. Quante ingiustizie, quanta disparità, quanta parte di questa società tutta al maschile dipende da questa idea di normalità? Rieduchiamo il nostro spirito critico, poniamoci delle domande.
È giusto che questo compito spetti a me in quanto donna? È giusto che io non possa fare questa cosa perché non sono un uomo? Ho scelto io di essere ciò che sono o ho assecondato un’ingiusta idea di ciò che sono le donne?
Rispondiamoci e quando la nostra risposta ci spinge a dire che ciò che siamo, ciò che possiamo essere, ciò che abbiamo il diritto di essere non dipende da noi ma da un’idea di donna che nessuna di noi ha scelto, fermiamoci e incrociamo le braccia. Realmente o simbolicamente. Incrociamo le braccia non una sola volta l’anno, per 5 minuti come avvenne su iniziativa del movimento Nì una menos. Incrociamo le braccia ogni volta che ci viene richiesto di essere qualcosa in quanto donne.
Solo cambiando la nostra visione della società possiamo cambiare la società stessa perché la società siamo noi, donne e uomini con le nostre idee e finché non siamo noi a cambiare nessuna manifestazione, sit-in o occupazione basterà a rendere questo nostro mondo più giusto, più equo, più solidale.
Incrociamo le braccia, donne e rieduchiamo le nostre coscienze. Ora. Perché domani la nostra battaglia diventi la battaglia degli uomini e delle donne, insieme, contro ogni forma di discriminazione di genere.
di Martina Annibaldi