Gender pay gap: da gennaio in Islanda in vigore pesanti sanzioni contro la disparità retributiva di genere

Dal primo gennaio è entrata pienamente in vigore la legge islandese che per eradicare la disparità retributiva tra uomo e donna, o gender pay gap, obbliga le aziende a documentare come uomini e donne, a parità di esperienza, qualifiche e mansioni, non vengano pagati in maniera differente, e ad ottenere una certificazione che attesti la parità di trattamento in azienda.

La legge, che è la risposta agli scioperi di settembre 2017, è stata annunciata l’8 marzo 2017 e approvata poco dopo in un parlamento dove il 50% dei membri sono donne, supportata sia dal governo di centro-destra che dall’opposizione. La legge prevede che tutte le aziende e uffici pubblici con più di 25 dipendenti debbano dimostrare di pagare equamente uomini e donne, pena multe salate anche superiori a 400 euro per giornata di disparità salariale. Le aziende con più di 250 dipendenti dovranno allinearsi entro la fine del 2018, mentre per le aziende più piccole i tempi variano in base alle dimensioni. L’obiettivo è di eliminare completamente il divario di trattamento economico di genere entro il 2022.

In realtà, in Islanda era già illegale retribuire differentemente in base al genere, ma la norma non veniva rispettata. Motivo per il quale nel settembre 2017 sono stati organizzati scioperi in cui le donne concludevano la giornata lavorativa con circa due ore e mezzo di anticipo ogni giorno, non lavorando le ore che rispetto ad un uomo non venivano effettivamente retribuite.

 La legge islandese potrebbe voler essere presa da esempio in altri paesi, ma l’obbligo di dimostrare la parità salariale non è una panacea in sé per sé. In Paesi diversi dall’Islanda una legge del genere correrebbe il rischio di disincentivare l’assunzione delle donne per via dei meccanismi che regolano i congedi parentali. In Islanda donne e uomini godono ciascuno di un congedo parentale di tre mesi non trasferibile e di altri tre mesi che possono essere divisi a piacimento tra i due. Tuttavia, Paesi dove il congedo paterno è inferiore a quello materno, poco usato o non esistente, potrebbero trovare svantaggioso assumere una donna con pari salario rispetto ad un uomo, ma con più possibilità di congedo. Inoltre, la legge non influisce sulla differenza di trattamento in merito all’assunzione, ovvero per tutti quei lavori per i quali gli uomini sono considerati più adatti delle donne.

E’ interessante notare come la legge islandese abbia in realtà già un, parziale, precedente nel nostro Paese. Infatti in Italia, l’articolo 46 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006 n. 198 (ex art. 9 L. 125/91), e modificato dal D. Legislativo 25 gennaio 2010 n. 5 in attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione, prevede che le aziende pubbliche e private con più di cento dipendenti siano tenute, almeno ogni due anni, a redigere un rapporto sulla parità di genere in azienda, che include il trattamento economico. Tuttavia, nel caso italiano è il mancato invio del rapporto ad essere sanzionato, mentre questo non esistono sanzioni per la verificata disparità di trattamento dovuta al genere dei dipendenti.

di Giulia Montefiore

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