La Turchia rischia un ulteriore restringimento degli spazi democratici

Anche se le ultime elezioni amministrative hanno incrinato il consenso all’AKP del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, il potere del presidente è ancora saldo e la sconfitta subita a livello locale potrebbe rivelarsi solo una parentesi.

È vero che il 31 marzo il Cumhuriyet Halk Partisi – il partito laico erede di Ataturk – ha conquistato, dopo ben 25 anni, la città di Ankara, confermato la guida di Smirne e vinto per un soffio, battendo l’ex premier Binali Yıldırım, anche ad Istanbul ma le grandi città non sono la Turchia.

Grazie al sostegno che raccoglie nelle zone interne del paese – la Turchia più nazionalista e legata ai valori religiosi – l’AKP conserva, a livello nazionale, oltre il 50% dei voti

Inoltre, la causa principale del risultato elettorale potrebbe essere attribuita più che a un risveglio democratico alla recessione economica che si è abbattuta sul paese.

Infatti, dopo la grave crisi valutaria che lo scorso anno ha portato alla svalutazione della lira, l’inflazione è schizzata ben oltre il 25% con un pesantissimo impatto negativo sulla vita quotidiana dei turchi.

Gli anni del dominio dell’AKP sul paese sono sempre stati accompagnati, e sostenuti, da alti tassi di crescita. La crescita era però fondata sulla spesa per le infrastrutture più che su un aumento della produzione.

Non appena lo Stato, a causa della crisi, ha tagliato gli investimenti l’economia turca si è fermata.

Quello arrivato dal paese è un segnale al quale Erdoğan – che conserva tutto il suo potere e che non si fa scrupolo ad usarlo – risponde a modo suo.

Fin da subito ha attribuito la sconfitta a presunte frodi elettorali ai suoi danni perpetrate dagli oppositori e ha lanciato una serie di sfide legali contro i risultati. Ora intimidisce e minaccia anche esponenti del suo stesso partito. Intervenendo ad un’iniziativa dell’AKP ha affermato che “mentre stiamo combattendo gli avversari, abbiamo avuto anche persone che ci hanno fatto torto dall’interno. Sappiamo tutto … li chiameremo per rendere conto.”

Tutti sanno che quelle di Erdoğan non sono chiacchiere. Negli ultimi anni ha fatto licenziare o sospendere più di 150.000 persone tra dipendenti pubblici e militari con l’accusa di essere coinvolti in un fallito e controverso colpo di stato e ha imprigionato più di 77.000 persone ancora in attesa di processo.

Erdoğan vuole mantenere il potere e rafforzare la conversione di un Paese, che nasce laico, in una repubblica islamica.

E il suo potere è ancora ben saldo e la Turchia rischia un ulteriore restringimento degli spazi democratici.

di Enrico Ceci