Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Pjanic dice addio ai tifosi

Salvo

«La notte porta consiglio, dicono. Sarà che però il detto non vale oltreoceano. Il 13 giugno nella Capitale erano da poco passate le 20 e, insieme al sole, pian piano tramontava anche la Roma americana. Anzi, pian Pjanic. Con la cessione del fantasista, infatti, James Pallotta rinnegava pure l’ultimo rinforzo della prima campagna acquisti, quella datata 2011, che poi fu il preludio alla sua discesa in campo.

Cinque anni: tanto è durata la gestione a stelle e strisce. Una gestione anonima, fatta di secondi posti e innumerevoli plusvalenze. Ecco, dal punto di vista finanziario le 70 cessioni rendono il bilancio senz’altro positivo. Ma, considerato sul fronte dei trofei (che poi sono ciò che conta), il discorso muta drasticamente: “Zeru tituli”, direbbe qualcuno.

E zero resteranno, probabilmente. A meno di clamorosi errori tecnici o incidenti di percorso, infatti, la Juventus si appresta a far sfigurare ancora una volta i giallorossi, orfani adesso di una pedina tanto importante a centrocampo. Quella pedina che, per intenderci, l’anno scorso diede il là all’illusione che il vento fosse finalmente cambiato. Quella che, grazie a una magistrale punizione, piegò Buffon e compagni nel più caldo inizio di stagione mai registratosi.

Ricordi, solo ricordi, si dirà. Eppure sono stati proprio i ricordi ad avere la meglio sul discorso Totti, che lo stesso Pallotta (sì, sempre lui) stava per condannare all’esilio, ignaro com’è di quanto fatto fin qui dal Capitano nella storia della Roma. Neanche il tempo di gioire, tuttavia, che a poche ore dalla benedetta firma Rüdiger si rompeva il crociato. E, nel mentre, Pjanic dichiarava appunto amore ai bianconeri.

Una maledizione? Macché, al massimo incapacità di gestione. La notte porta consiglio, si diceva a inizio articolo. Si aggiunga anche che chi è causa del suo mal pianga sé stesso. “E intanto il serbo se ne va”, viene in mente parafrasando una celebre canzone. Con la delusione di un popolo che è ormai stanco di vedere gli altri gioire. Lo si chiami pure vittimismo: stavolta, ahinoi, è solo presa di coscienza.

di Massimo Salvo

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