Per gli ultimi, non suona la campana

Carlo FalociNon farsi vincere dalla paura, essere consapevoli e responsabili anche per quelli che non contano.

La voce degli ultimi. Ho guardato la nostra testata, prima di scrivere. Mi ero appena sottratto al bombardamento delle tv sulle uccisioni a Monaco di Baviera (più di 6 morti, forse 8, forse 9, parlava arabo … e intanto sulla striscia in basso scorreva la notizia di altri 39 morti nel mare di Libia).
Ed ho dolorosamente registrato, ancora, che nella società del profitto e dei consumi gli ultimi non fanno notizia. Che non contano. Che sono invisibili.
Che nel terrorismo, le 32.600 vittime nel mondo nel solo 2014 (fonte Post International) non hanno cittadinanza a fronte alle vittime dell’Europa Occidentale (in 45 anni, meno di 8.000 anche considerando gli scontri in Ucraina).
Che nel solo 2012 (dati Oms), 7 milioni di persone nel mondo sono morte per l’inquinamento dell’aria.
Che nel 2009, con l’operazione Piombo Fuso, a Gaza, In 51 giorni (fonti Onu), si contarono tra i palestinesi 2136 morti (di cui 491 bambini). Ed altri 69 morti tra gli israeliani (5 civili).
Che nel solo 2015 (fonti sindacali) i morti sul lavoro nel mondo sono stati poco meno di un milione e trecentomila, di cui in Italia 678..
Che in Siria (fonte Osservatorio per i diritti umani) in 5 anni sono stati registrate 273.000 vittime (di cui almeno 80.000 civili, 8.800 donne, 13.700 bambini).
Sono numeri importanti, per i quali le vittime di terrorismo sono molte meno di quelle dovute ad altri fattori. Ma non ha senso dirlo, in termini di percezione del rischio. Anche se il rischio annuale nel mondo è di 5 eventi per ogni milione di abitanti. E quello dell’Europa Occidentale di 1 evento ogni 10 milioni. Non importa, l’impressione di insicurezza, di fragilità, di paura, il rischio percepito sono assai maggiori certamente del rischio reale.

Naturalmente gli ultimi non contano. Non ci sono. Diventeranno visibili solo se saranno in grado di diventare consumatori. Non contano, anche se tra loro il gruppo Boko Haram fa addirittura più vittime del sedicente “stato islamico (con il quale, tra l’altro , il leader Shekau sembrerebbe essere in contatto). Quello stato islamico che non ha scrupoli nell’uccidere decine di correligionari curdi, come giorni fa a Qashili.
Per gli ultimi non c’è commozione, per essi non suona la campana a morto.

Siamo in un mondo nel quale non c’è una guerra di religione. Ma c’è una aggressione psicologica, che tende a minare tra la gente la sicurezza del proprio vivere. Un’aggressione fatta da tutti gli estremismi esistenti, quelli politici, quelli ideologici, quelli nazionalisti, quelli della follia alimentata da suggestioni fuori controllo da parte di persone o di “media”.
E allora una percezione iniziale diventa convinzione reale di paura, in qualche modo ingigantita anche dalla spettacolarità delle notizie. Al punto da portarci a cancellare le prenotazioni delle ferie, a temere ogni passante accanto a noi, a negare accoglienza a chi ha bisogno di aiuto.
Quella paura che peraltro non ha impedito al ragazzo musulmano di Dacca, Faraaz Hossein, di rimanere accanto alle sue compagne, anche se ha pagato con la vita il suo gesto. Che non ha fermato a Nizza il poliziotto in scooter, senza nome, nel suo tentativo di bloccare il criminale assassino attentatore, rimanendone ucciso.

“Non si può ignorare o condannare la paura: è un sentimento che va rispettato … Quel che dobbiamo impedire è che la paura ci vinca. Non possiamo consentire che il nostro Paese, che l’intera Europa, entri nell’età dell’ansia”..
Sono parole che il Presidente Mattarella ha detto nel suo discorso alla cerimonia “del ventaglio” con la stampa.
Un discorso che per diversi aspetti è sembrato essere non d’occasione, ma voluto, per ricordare cose che un governo sostenuto da una maggioranza raccattata qualche volta non sa o non vuole fare.
Un discorso che è vicino agli ultimi, quando parla di non dimenticarsi delle periferie del mondo; della necessità di capire la cause della violenza (in particolare quella contro le donne) che è interna alla società e che può essere superata solo con un forte senso di solidarietà e di comunanza di vita.
Un discorso che ha parlato di Stato Sociale. Che deve preservare gli indirizzi costituzionali, agire contro le disuguaglianze e la povertà e contrastare le ingiustizie. Che non deve far pagare ai giovani il prezzo maggiore della crisi e che deve garantire loro l’accesso al lavoro e la progettazione del futuro.
Un discorso che non ha avuto remore anche nell’affrontare i fatti di Turchia. Per essa, ha detto, deve tornare al più presto la normalità democratica per la giustizia, l’insegnamento, la libertà di stampa. Perché “vi sono principi di libertà,di rispetto delle persone e dei loro diritti che non possono essere negati e neppure negoziati”.
Sono principi che debbono valere per tutti. In Turchia, in Europa, in tutto il mondo.
Soprattutto, per quelli che non vogliamo vedere, anche se sono accanto a noi: gli ultimi della terra.

di Carlo Faloci

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