Quel reato di tortura che non c’è

MartinaAlla Diaz erano “ferite pregresse”, poco meno di 48 euro di multa per i rappresentanti delle Forze dell’Ordine e amici come prima. A Bolzaneto fu abuso d’ufficio, tre anni e due mesi di detenzione la pena massima inflitta, prescritti i reati contestati a 37 dei 45 imputati inizialmente coinvolti. Sono passati 15 anni dai fatti che hanno insanguinato il G8 di Genova. In questi 15 anni nulla è cambiato. Se nel 2001 ascoltavamo atterriti i racconti dei pestaggi, dei maltrattamenti, delle minacce, osservavamo i volti tumefatti ed insanguinati dei manifestanti, le fotografie dei muri ridipinti di rosso vivo oggi osserviamo le immagini del corpo martoriato di Stefano Cucchi e ci sentiamo dire che, per quel corpo, non esistono colpevoli. Tutti assolti.
Eppure per Cucchi fu tortura. Alla Diaz, quando senza alcuna ragione precisata gli agenti irruppero nella scuola che accoglieva i manifestanti del Genoa Social Forum e pestarono decine di persone di ogni età e di ogni provenienza fu tortura. A Bolzaneto, nella caserma Nino Bixio, quando 222 persone vennero segregate per 48 ore, marchiate coi pennarelli sul volto, private del sonno, costrette a rimanere in piedi, braccia in alto, gambe divaricate e faccia al muro, senza cibo, senza poter telefonare ad un avvocato, picchiate, umiliate, minacciate di stupro, rasate a zero, denudate, messe a quattro zampe sotto le urla di cori nazi-fascisti fu tortura. Una sospensione totale dei diritti umani, un angolo di inferno ritagliato all’interno di quello che dovrebbe essere uno Stato democratico e che si è trasformato in uno Stato interamente rimesso all’arbitrio delle Forze dell’ordine. Poco più di un anno fa fu la Corte Europea dei diritti umani a sancire la condanna dell’Italia per i fatti avvenuti durante il G8 di Genova, invitando il nostro Paese a dotarsi di strumenti giuridici adeguati per punire il reato di tortura.
Già, perché, pur volendo – eccezionalmente- applicare le legge, in questo caso il problema sorgerebbe a monte. In Italia, ad oggi, non esiste una legge riguardo il reato di tortura. In pratica, a tutti gli effetti, la tortura in Italia non è un reato perché non viene contemplata dal codice penale.
Questo nonostante l’Italia, già nel lontano 1988, avesse ratificato la Convenzione UE del 1984 che condanna e vieta la tortura e nonostante le numerose sanzioni ricevute negli ultimi anni.
La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 considera la tortura un reato contro l’umanità e lo stesso viene ribadito all’interno della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ma in Italia niente. Se ne è parlato nelle ultime due legislature senza alcun risultato. Se ne è parlato in questi mesi, tante promesse, ribadite a gran voce poco più di un mese fa di fronte alle 200.000 firme raccolte da Ilaria Cucchi e consegnate al Ministro Orlando. Eppure, fresca fresca, arriva la nuova sospensione, da parte del Senato, dell’esame del ddl che dovrebbe finalmente introdurre il reato di tortura. Approvato alla Camera nell’Aprile 2015, l’esame del ddl è stato sospeso a seguito delle richieste avanzate da Forza Italia, Lega e Conservatori e Riformisti. Il testo respinto prevedrebbe l’introduzione del reato punibile con una reclusione dai 4 ai 10 anni, ed un possibile aumento della pena da 1/3 (per lesione grave) fino ai 30 anni di carcere per lesioni che conducono alla morte involontaria ed all’ergastolo nel caso della volontarietà dell’omicidio, oltre a sancire il divieto di utilizzare le dichiarazioni estorte con la tortura in sede di processo penale. Già rivisitato ed ammorbidito rispetto al testo inizialmente proposto dal Senatore Pd, Luigi Manconi, il ddl tornerà in Senato per essere esaminato in data ancora imprecisata.
Insomma, più di un trentennio di ritardo rispetto agli altri Paesi europei non ci è sembrato abbastanza, meglio aspettare ancora. L’impressione è quella di essere di fronte ad uno struzzo che nasconde la testa nella sabbia. La paura di aprire un vaso di Pandora dal quale potrebbero uscire fuori decenni di abusi in divisa, di morti di Stato, di maltrattamenti inflitti in carcere e fuori, di false dichiarazioni, false confessioni, una rete vischiosa da cui pescare nomi di agenti delle Forze dell’Ordine, di medici omertosi, di rappresentanti dello Stato che sapevano ma che hanno fatto finta di nulla, che sapevano e approvavano. La possibilità di dare un nome ad un reato spesso commesso, ma rimasto impunito perché impunibile. Quante assoluzioni fino ad oggi perché non c’è stato un reato di tortura?
A chi giova far luce su una pagina tanto oscura della delle nostre Forze di Polizia? Meglio rimandare, c’è sempre tempo.

di Martina Annibaldi

Print Friendly, PDF & Email