Accesso all’acqua negato. Una donna con furgone lo garantisce ai Navajo del New Mexico

Darlene Arviso ha 51 anni ed ogni giorno con il suo furgone giallo porta l’acqua a chi non la ha. Succede negli sviluppati Stati Uniti d’America e non si tratta di una soluzione temporanea ad un’emergenza inattesa. Macinando chilometri giorno dopo giorno sia prima che dopo il suo turno come autista di scuolabus, Darlene da sette anni riesce a raggiungere due volte al mese 250 famiglie che senza di lei non avrebbero alcun accesso ad acqua potabile. Succede nella Navajo Nation, la più grande riserva per nativi americani che si estende a cavallo tra New Mexico, Arizona e Utah e dove vivono 300 mila persone. Delle 174 mila che abitano il nord-ovest del New Mexico, ben il 40% non ha accesso ad acqua corrente. E’ qui, dove il viaggio fino all’acqua può arrivare anche a 80 chilometri andata e ritorno, che il lavoro della “donna dell’acqua” è spesso l’unico modo tramite cui è possibile accedere a questo diritto fondamentale. Eppure neanche il lavoro instancabile di una donna che non va mai in ferie è sufficiente. Lo scorso febbraio il ventitreenne Navajo Darius Yazzie è stato assunto a guida di un secondo camion, ma se in inverno il passaggio del furgone non è possibile, i residenti sono costretti a sciogliere la neve o a raccogliere l’acqua dai bacini destinati al bestiame.

Il problema ha radici profonde e si deve al fatto che fino al 1948 i nativi americani non avevano diritto di voto. Perciò, quando prima di quella data le infrastrutture essenziali per acqua corrente ed elettricità, anch’essa tuttora assente in tantissime case Navajo, sono state pianificate e poi distribuite, questa popolazione non ne ha beneficiato in quanto non politicamente necessaria. Da allora il governo federale e quelli degli Stati membri giocano al rimpallo delle responsabilità, ed i Navajo rimangono senz’acqua.

Darlene ha iniziato sette anni fa a portare l’acqua in giro per la riserva, con il supporto della Missione Indiana San Bonaventura, che dal 1974 si occupa di progetti di scolarizzazione e di altri servizi essenziali nel territorio. Da qualche anno l’organizzazione no-profit DigDeep Water, che normalmente fornisce sistemi idrici a paesi cosiddetti in via di sviluppo, collabora con la Missione Indiana scavando pozzi per raggiungere acqua a 1800 metri di profondità, con la speranza di riuscire a scavare abbastanza profondamente da eludere l’acqua inquinata dall’uranio che le miniere attive ai tempi della Seconda Guerra Mondiale hanno lasciato in eredità alla riserva. Oltre a lavorare per rendere più agevole l’estrazione dell’acqua, DigDeep Water sta anche installando sistemi per lo stoccaggio familiare tramite piccole cisterne che si sostituiscano alle taniche di plastica finora utilizzate. Ha già portato 78 famiglie a beneficiare giornalmente di 113 litri d’acqua a persona, rispetto ai 26 precedenti. In America ogni persona ne consuma circa 300, mentre la quantità ritenuta minima dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per soddisfare i bisogni vitali è di 40 litri al giorno, sebbene anche questa garantisca solamente un equilibrio igienico-sanitario e di alimentazione precario.

DigDeep Water prospetta che per la fine del 2018 i nuovi sistemi di stoccaggio familiare saranno installati in ogni casa, così che il lavoro di Darlene e Darius, e di chi come loro lavorerà per portare l’acqua ove non c’è, possa essere più efficiente. Ma quanti anni dopo il 1948 dovranno ancora passare prima che il popolo Navajo possa godere del diritto universale dell’accesso all’acqua?

di Giulia Montefiore

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